L’attentato di Via Rasella, una delle azioni partigiane più importanti della storia della resistenza. I ragazzi dei GAP di Roma e le Fosse Ardeatine
Il ricordo dell’attentato di Via Rasella ad oggi è lasciato ai fori dei proiettili ancora visibili sui palazzi. Alle raffiche dei fucili dei nazisti che iniziarono a sparare alla cieca, pensando di essere stati attaccati dall’alto durante l’esplosione. La verità dei fatti però, di quella che è stata una delle azioni partigiane più importanti della storia della resistenza, è stata spesso manipolata, anche con superficialità.
Di falsità se ne sono dette tante, anche sulla compagnia nazista colpita nell’attentato, la quale però era in azione nei rastrellamenti in città, nella lotta ai partigiani. Mario Fiorentini, a capo di un GAP comunista di Roma all’età di 25 anni, nota proprio quella compagnia di soldati tedeschi dalla sua abitazione in Via Capo le Case nel marzo nel 1944. Una colonna di circa 150 uomini, che attraversa ogni giorno le vie del centro per poi imboccare Via Rasella. Mario, con l’intento di attaccare la compagnia, informa Rosario Bentivegna, al comando di un altro GAP romano; i due partigiani si confrontano con Giorgio Amendola in contatto costante tramite il CLN con il comando Alleato, che dà l’ordine di procedere con l’attentato. E’ Rosario Bentivegna che piazza la bomba sul posto dentro un carretto, un secchio per l’immondizia, travestito da spazzino, e che da fuoco alla miccia. L’esplosione avviene il 23 marzo del 1944 alle 15:50. Muoiono 26 soldati tedeschi sul colpo, 7 in ospedale e due civili italiani. Bentivegna si allontana dal posto insieme a Carla Capponi, che si era appostata all’angolo di Via delle Quattro Fontane. Sono 17 i partigiani che partecipano all’attacco di Via Rasella, 4 le donne. Dei 17 parecchi saranno arrestati, torturati e condannati a morte, ma riusciranno a mettersi in salvo dopo l’ingresso del 4 giugno degli americani a Roma.
Il 24 marzo Kesselring comunica di procedere con la rappresaglia, giustiziando alle Fosse Ardeatine 335 prigionieri completamente estranei all’attentato, tra ebrei, socialisti, comunisti, studenti. Dieci per ogni tedesco rimasto ucciso. L’eccidio delle Fosse Ardeatine e l’attentato dei ragazzi dei GAP però, non hanno fatto altro nella nostra storia che alimentare divisioni e spaccature. In alcuni casi generare leggende, con il fine di gettare fango non solo su questa azione partigiana, ma sulla loro storia nel complesso; leggende secondo le quali i nazisti avrebbero chiesto ai colpevoli di consegnarsi, per evitare un eccidio assolutamente inevitabile.
Roma “città aperta” ed esplosiva
L’attentato viene organizzato nel contesto di una capitale che nel marzo del 44’ è una città “esplosiva” come racconta Kesselring al suo processo. Organizzato da una ventina di ragazzi e ragazze, partigiani improvvisati, studenti della Sapienza, poco più che adolescenti in certi casi (come Lucia Ottobrini che nel 1944 aveva appena 19 anni) che con armi arrugginite, spesso inceppate e ordigni di fortuna sfidavano i militari per le vie di Roma che sulla carta è città aperta, ma di fatto occupata e assediata dai nazisti. A Roma ci sono azioni partigiane ogni giorno, e i soldati tedeschi muoiono. Il Colonnello delle SS Dollmann ammetterà: “Roma è stata la capitale che ci ha dato più filo da torcere”. Roma venne conquistata – dopo l’8 settembre – dai nazisti dopo giorni di combattimenti contro l’esercito italiano e contro gruppi di civili armati, e di quest’ultimi la capitale è piena. Si nascondono insieme a loro i partigiani, comunisti, socialisti, i nuovi partiti in maniera clandestina si riuniscono.
I Partigiani colpiscono con azioni in tutta la capitale, i tedeschi imprigionano, rastrellano e giustiziano, ma mai prima di quel momento i nazisti avevano fatto rappresaglie dirette, minacciando di uccidere dei prigionieri come punizione per atti di terrorismo. I tedeschi registravano perdite ogni giorno, che spesso sceglievano di non comunicare per il morale delle truppe. Mai era stato comunicato dal comando nazista che per la morte di un tedesco sarebbero stati giustiziati degli italiani innocenti o degli ostaggi. Semmai, già dall’11 settembre 43’, Kesselring aveva informato la popolazione facendo affiggere dei manifesti che recitavano: “Tutti i delitti commessi contro le Forze Armate Tedesche saranno giudicati secondo il diritto Tedesco di guerra”.
Ma cosa ancora più importante, sul quale si è detto praticamente di tutto, ormai è noto che non vi fu nessun preavviso da parte dei tedeschi prima di uccidere i 335 civili e prigionieri (come si intuisce dal comunicato tedesco pubblicato dal Messaggero arrivato solo la mattina del 25 marzo). Hitler dopo aver ricevuto la notizia ebbe un vero e proprio attacco di follia. Dal suo quartier generale di Rastenburg discute della rappresaglia con il comandante delle SS Dollmann, con Kesselring e Kappler. Quest’ultimi racconteranno di aver addirittura dovuto calmare la furia di Hitler, pronto inizialmente a giustiziare 50 italiani per ogni morto tedesco. La rappresaglia avverrà prima ancora che siano trascorse 24 ore dall’attentato, e le esecuzioni dureranno dal pomeriggio alla sera.
La Leggenda e la storia
“La vile imboscata eseguita da comunisti-badogliani. Sono ancora in atto le indagini per chiarire fino a che punto questo criminoso fatto è da attribuirsi a incitamento angloamericano. Il Comando tedesco è deciso a stroncare l’attività di questi banditi scellerati. Il Comando tedesco, perciò, ha ordinato che per ogni tedesco ammazzato dieci comunisti-badogliani saranno fucilati”. Il comunicato apparso su Il Messaggero il 25 marzo del 1944, conclude con: “Quest’ordine è già stato eseguito”.
La storia, quella dell’attentato di Via Rasella e della strage delle Fosse Ardeatine, è ben diversa da quella che ha avvelenato parte della memoria collettiva. Una delle credenze è quella della punizione e ritorsione dei nazisti sugli innocenti per ogni attentato addirittura con preavviso, diventata praticamente una prassi nell’immaginario collettivo di chi i gappisti e i partigiani non li hai mai digeriti. Generalizzazione naturale per motivare una presunta codardia dei GAP. In molti sono convinti, addirittura in buona fede, che gappisti e i partigiani sarebbero stati a conoscenza delle ritorsioni e che avrebbero dovuto consegnarsi dopo gli attentati (come se fosse consuetudine consegnarsi dopo un attentato). Una credenza che fatto parte di questa fastidiosa frattura che contribuisce a mettere in ombra le azioni dei partigiani.
Un’altra leggenda è quella che i 335 delle Fosse Ardeatine sarebbero morti “al posto” dei gappisti, non per vendetta né per rappresaglia. Probabilmente alimentata anche dall’articolo del 26 marzo dell’Osservatore Romano, che nel pubblicare il comunicato tedesco chiama in un commento non firmato “vittime” i 33 tedeschi morti, e i 335 giustiziati “sacrificati per i colpevoli sfuggiti all’arresto”. Ma la rappresaglia non si sarebbe mai evitata, anche nel più remoto caso di consegna da parte dei gappisti. E il tutto è ben documentato. Nessun manifesto tedesco ha mai richiesto la loro consegna, né in questo né in altri attentati partigiani. Neppure la rappresaglia venne anticipata da alcun avviso, come dirà Kappler al suo processo: “Se si fosse saputo, Roma sarebbe insorta”. Il maresciallo Kesselring rispose con un secco “no” alla domanda della corte durante il processo: “Avvisaste la popolazione romana che stavate per ordinare rappresaglie nelle proporzioni di uno a dieci?” Alla seconda domanda: “Ma voi avreste potuto dire: se la popolazione romana non consegna entro un dato termine il responsabile dell’attentato fucilerò dieci romani per ogni tedesco ucciso?”, rispose invece: “Ora, in tempi più tranquilli dopo tre anni passati, devo dire che l’idea sarebbe stata molto buona”.
I generali anglo-americani durante la guerra hanno riconosciuto e stimato le azioni dei partigiani, definendole delle spine nel fianco risultate poi fatali per l’esercito nazista. I tedeschi impiegarono 5 battaglioni nel controllo del territorio contro i partigiani, che avrebbero fatto più che comodo a Kesselring sul fronte di Anzio.
Azioni peraltro di un’unità combattente obbediente alla CLN e all’ormai legittimo governo italiano, che spronava ad attaccare ovunque e in ogni modo l’invasore. In Italia ancora oggi innegabilmente una non piccola parte della popolazione non riesce ad avere pienamente simpatia per le azioni di liberazione antifascista. Rimasta legata, ancora in buona fede, ai racconti dei nonni e alla memoria personale. Dove in parte si continua a insistere e a screditare le azioni dei ragazzi dei GAP.