I pm di Roma hanno ricostruito il macabro percorso che ha portato Giulio Regeni alla morte, nel febbraio del 2016. Gli ultimi drammatici giorni di Giulio
Sono emerse, secondo il pm Michele Prestipino, prove significative e univoche, riguardo la morte di Giulio Regeni. Il medico friuliano, dottorando di Cambridge, si trovava in Egitto per una ricerca sui sindacati indipendenti egiziani all’Università del Cairo. La sua morte nel 2016 dette vita a un dibattito internazionale, soprattutto per il rapimento e le cause della morte.
Molte le controversie del caso, sin dal ritrovamento del corpo della povera vittima, visibilmente mutilato e martoriato, con segni evidenti di tortura. La procura ha finalmente divulgato il nome del carceriere e boia del ricercatore, ovvero il maggiore Magdi Ibrahim Abdelal Sharif. Il ragazzo è stato preso a pugni, torturato con lame e oggetti roventi. Il procuratore ha chiuso l’inchiesta con 4 avvisi di chiusura alle indagini e un’archiviazione.
Rischiano dunque di finire a processo Athar Kamel Mohamed Ibrahim, Tariq Sabir, Uhsam Helmi e il maggiore Magdi Ibrahim Abdelal Sharif, archiviazione invece per Mahmoud Najem per raccolta di elementi insufficiente. Nell’avviso di conclusioni indagini firmato da Michele Prestipino e dal pm Sergio Calaiocco si legge che i 4 indagati avrebbero prima fermato il ricercatore alla metropolitana del Cairo (dopo averlo seguito durante l’autunno de 2015).
Successivamente gli uomini avrebbero, abusando del loro potere di pubblici ufficiali egiziani, avrebbero condotto il ragazzo al di fuori di ogni sede istituzionale, torturandolo a morte. “Sevizie e crudeltà”, si legge nell’atto. Già dal ritrovamento del corpo lungo il deserto che collega il Cairo ad Alessandria, di quel 3 febbraio 2016, i segni sul cadavere del giovane avevano fatto pensare alle peggiori torture. Sharif avrebbe esercitato su Regeni ripetute azioni contusive, anche alla testa, con conseguente insufficienza respiratoria che lo ha portato alla morte.