In Bielorussia, nella seconda notte di scontri tra polizia e manifestanti per la rielezione di Lukashenko, è morto un manifestante. La tensione è altissima.
Iniziano a pronunciarsi anche vari capi di Stato. Alcuni non ci vedono chiaro, altri dicono che le votazioni sono state manomesse dall’interno. Tutto questo accade in Bielorussia ove, nella giornata di ieri, è stata proclamata l’ennesima vittoria di Alexander Lukashenko. Quello che, da molti europeisti e altri esponenti mondiali, è definito come “L’ultimo dittatore d’Europa”. Lukashenko rieletto per la sesta volta consecutiva. Al potere dal 1994, rimane alla guida del Paese vincendo le elezioni di questo 2020 con l’80,23% dei voti. Appena emessi i risultati sono scattate le proteste da parte di giovani. Ragazzi e ragazze sono scesi in piazza per urlare il loro dissenso e per chiedere più trasparenza e chiarezza sul responso finale. Il tutto è degenerato in un violento conflitto tra manifestanti e polizia. E nella seconda notte di scontri è morto un manifestante.
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Bielorussia, nei violenti scontri ci “scappa il morto”: tantissimi anche i feriti
Prima moltissimi feriti, poi anche il morto. E così, come in ogni violenta repressione, con un ragazzo morto “in casa”, le cose non andranno di certo a migliorare. I primi a farsi sentire sono stati gli esponenti dell’opposizione. Poco prima che arrivasse il decesso per “mano del potere”, la squadra guidata da Svetlana Tikhanovskaya aveva ribadito di non riconoscere la veridicità del risultato finale. Quest’ultima aveva dichiarato: “Contraddicono la realtà e sono completamente in contrasto con il buonsenso”.
Dall’altra parte, il neo e per la sesta volta eletto presidente Lukashenko aveva preso parola denunciando una “protesta estera” affermando che i manifestanti vengono manipolati da fonti “misteriose” e che non amano il Paese: “I servizi speciali hanno registrato chiamate dalla Polonia, dalla Gran Bretagna e dalla Repubblica Ceca, questo ci fa capire cosa sta accadendo”.
L’unico e vero fatto, però, è quello che risiede nel ragazzo ucciso durante le proteste: una guerriglia che non intende arrestarsi e che, se continuerà con tale intensità, potrà sfociare in un lago di sangue.
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