Secondo un agente dell’FBI che ha lavorato nel team che indagava sull’omicidio di Paolo Borsellino le prove sarebbero state manipolate
Sono passati 28 anni dalla strage di Via d’Amelio a Palermo, l’attentato dinamitardo che uccise il giudice Paolo Borsellino e gli agenti della sua scorta. Le indagini sulla sua morte sono state al centro di numerose inchieste giornalistiche per via di alcuni presunti depistaggi. Oggi si torna a parlare delle indagini sulla strage dopo le parole di Frederic Whitehurst, chimico e avvocato americano che ha lavorato con l’FBI. L’uomo infatti lavorò con il team che indagava sulla morte di Borsellino, svolgendo alcune perizie per capire il tipo di esplosivo utilizzato. L’ex agente, in un’intervista rilasciata al Giornale Radio Rai, sostiene che i rapporti da lui stilati dopo le perizie furono manomessi e modificati da altri. L’oggetto principale della sua contestazione è la deposizione di Robert Heckman al Tribunale di Caltanissetta, che sarebbe stata illegittima perché non lavorò mai direttamente con il pool d’indagine.
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Le accuse di Whitehurst gettano un’ombra molto scura sulle indagini riguardo la morte di Paolo Borsellino. La reazione dell’FBI, già all’epoca delle indagini, fu forte. A seguito della denuncia infatti l’agenzia di investigazioni decise trasferimenti di massa, avviò un’inchiesta sui propri laboratori di analisi e stabilì che ad occuparsi di esplosivi sarebbero stati solo chimici esperti. Non è ancora chiaro il motivo del coinvolgimento dell’FBI nelle indagini. Secondo Whitehurst il motivo è l’amicizia di Giovanni Falcone e Louis Freeh, direttore dell’agenzia al tempo. Un altro motivo potrebbe essere il timore di possibili infiltrazioni mafiose nell’Arma dei Carabinieri e nei servizi segreti italiani.
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