Gli Usa nelle ultime ore hanno attuato un altro blocco verso Hong Kong: di mezzo sempre lo scontro con la Cina.
Dopo il blocco reciproco tra Usa e Cina, sui visti agli alti funzionari di Stato, gli Stati Uniti d’America accelerano il blocco su un altro campo: quello bellico. Al centro della discussione c’è sempre Hong Kong. L’ex colonia britannica, con le sue innumerevoli proteste e manifestazioni, sta diventando a tutti gli effetti un “patrimonio” cinese. Inaccettabile per qualcuno di oltreoceano, già contrario alla legge sulla sicurezza nazionale imposta dalla Cina sul territorio di Hong Kong. Legge che, come riportano media locali, è stata approvata poche ore fa e che ora mira a limitare l’autonomia dell’ex colonia, con conseguenze molto forti verso gli oppositori, che oggi hanno paura di un’altra legge: il carcere a vita. Abolizioni di manifestazioni future e interventi massicci e repressivi su quelle passate (in tempi di contestazioni) porterebbe alla creazioni di un nuovo scenario. Per niente democratico.
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La situazione si fa sempre più delicata. I rapporti sempre più stretti (in termini negativi) e aspri al tempo stesso. Gli Stati Uniti hanno siglato un altro stop, o meglio ancora blocco, verso il territorio di Hong Kong. Si tratta di un blocco bellico. Ad annunciarlo è lo stesso segretario di Stato americano Mike Pompeo. Una fine chiara e netta dell’export di materiale bellico dopo che la Cina toglie quasi del tutto (se non completamente) l’autonomia all’ex colonia britannica. La Casa Bianca si muove di pari passo con ciò che accade giorno dopo giorno e attuerà limiti e restrizioni poc’anzi citate anche su tecnologie a doppio uso: civile e militare. Senza più alcuna distinzione tra i due territorio, quello cinese e quello di Hong Kong. Su Twitter è intervenuto anche Joshua Wong: “La legge sulla sicurezza nazionale imposta dalla Cina segna la fine della Hong Kong che il mondo conosceva. Con poteri spazzati via e una legge indefinita, la città diventerà uno stato di polizia segreta”. L’attivista pro democrazia ha poi dato le sue dimissioni da Demosisto, partito nel mirino per le campagne pro suffragio universale e la richiesta di sanzioni contro gli abusi sui diritti della Cina.
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