Nuovi focolai di coronavirus in Cina e le autorità attribuiscono la colpa al salmone norvegese: cosa c’è di vero nella relazione tra covid e cibo contaminato
I nuovo focolai di coronavirus “colpa del salmone norvegese“: in Cina questa tesi da voce è diventata realtà. Così il salmone è completamente sparito dai supermercati, i ristoranti lo hanno eliminato dai menù e chi non poteva farlo, ad esempio i locali di sushi, hanno visto sparire la clientela. Ma come è nata questa credenza che poco ha di scientifico e quanto è realmente credibile che il ritorno dei focolai di covid sia da attribuire al cibo?
I fatti. Tracce del virus sono state trovate su un banco in cui si tagliava salmone. Da qui il panico, poi le autorità cinesi hanno fatto il resto, avallando la tesi di un ritorno di Covid-19 da importazione. Ecco allora che il salmone norvegese è diventato il veicolo con il quale il coronavirus è tornato a fare paura a Pechino. Quartieri isolati, scuole di nuovo chiuse, voli vietati le contromosse del Governo per limitare la nuova ondata di contagi. Ma non solo questo. Stop alle importazioni di salmone dall’estero: c’è anche questa misura tra quelle adottate dalla Cina contro i nuovi focolai di coronavirus. Una misura che di scientifico ha poco o nulla.
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L’ipotesi del salmone come veicolo di contagio non è sostenuta da prove scientifiche. Sempre, se non impossibile, quanto meno improbabile che il pesce possa trasmettere i virus all’uomo. Inoltre, nel caso specifico, il coronavirus sarebbe dovuto sopravvivere al trasporto, ‘colpendo’ poi quando il salmone è stato congelato. In Cina però sono certi della relazione tra cibo e coronavirus così sono partiti anche test sulla carne importata.
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