Lavori in corso del governo sul decreto che determinerà i dettagli sull’applicabilità del reddito di cittadinanza. Secondo il vicepremier Luigi Di Maio, questo strumento, tanto voluto dal Movimento 5 Stelle, aiuterà le imprese ad aumentare le assunzioni. Non si sa come, ma la sua convinzione è rimasta la stessa da parecchio tempo a questa parte.
Critiche arrivano un po’ da tutte le parti, sorrette dalla convinzione che questa misura non riuscirà a risolvere il problema della disoccupazione. Secondo alcuni, è concreto il rischio di un forte boom del lavoro nero. Un esempio lampante è quello di un’impresa che convince il lavoratore (con un stipendio inferiore a 1.000 euro) a licenziarsi e quindi percepire il reddito di cittadinanza. Facendo così, potrebbe continuare a lavorare in nero con un salario ridotto.
In questo scenario, a guadagnarci sarebbero sia il datore di lavoro che il dipendente. Il primo risparmierebbe tra il 30 e il 60% sul costo del lavoro, mentre il secondo percepirebbe una somma superiore rispetto a quella che normalmente percepiva quando era assunto.
I settori in cui si verificherebbe questo modus operandi sarebbero soprattutto commercio, turismo, agricoltura, servizi di manutenzione e di pulizia, ossia quelli che vedono la maggior percentuale di lavoratori sotto i 1.000 euro.
Non c’è dubbio che questo escamotage non darebbe nessuna valenza reale al reddito di cittadinanza, continuando a relegare il problema disoccupazione esattamente nella posizione in cui è attualmente, o addirittura peggio.
Il problema è logistico: è quasi impossibile imbastire un sistema di controllo certosino ed in grado di vigilare su tutto il comparto lavorativo nazionale. Secondo una recente analisi, infine, sarebbe il Sud Italia la zona geografica dove potrebbero verificarsi i casi più numerosi di violazione normativa. Allo stato attuale Crotone sarebbe la città con il più alto numero di beneficari con un terzo di cittadini aventi diritto, mentre Bolzano sarebbe l’ultima in classifica con solo un beneficiario su 40.