Il 19 marzo del 1994, la mano spietata della criminalità metteva fine alla vita di Don Peppe Diana. Nel giorno del suo onomastico, sicari dei casalesi lo uccisero nella sua sacrestia, mentre si accingeva a celebrare la Messa del mattino, nella chiesa di San Nicola di Bari, a Casal di Principe. Fu la camorra a premere il grilletto contro il giovanissimo Don Peppino, come lo chiamavano affettuosamente i suoi parrocchiani. Cinque colpi per uccidere un uomo che aveva scelto di resistere e di opporsi. Un uomo che credeva nel riscatto di quella terra amara in cui era nato e cresciuto, e in cui vi trovò anche la morte.
Nonostante la macchina diffamatoria di certa stampa locale – “Don Peppe Diana era un camorrista”, il titolo emblematico apparso sul Corriere di Caserta –, la sua unica colpa fu quella di sognare una Casal di Principe libera dalla camorra, combattendo dall’interno quel sistema che incancreniva la sua terra, che la imbarbariva con morte e violenza. Anni prima che le pagine di Roberto Saviano facessero conoscere al mondo quello che succedeva nell’agro casertano, prima di Gomorra e della Terra dei Fuochi, c’erano le parole di questo giovane sacerdote e scout a scuotere le coscienze. Parole potenti come quelle che si leggono nella lettera diffusa nel Natale del 1991 “Per amore del mio popolo non tacerò”. Un manifesto tangibile del suo impegno civile prima che religioso nella lotta contro le mafie, un j’accuse coraggioso alla criminalità organizzata. «Assistiamo impotenti al dolore di tante famiglie che vedono i loro figli finire miseramente vittime o mandanti delle organizzazioni della Camorra. – scriveva Don Giuseppe Diana -. La Camorra oggi è una forma di terrorismo che incute paura, impone con violenza, armi in pugno, regole inaccettabili: estorsioni; tangenti al venti per cento e oltre, che scoraggerebbero l’imprenditore più temerario, traffici illeciti per l’acquisto e lo spaccio delle sostanze stupefacenti, scontri tra diverse fazioni che si abbattono come veri flagelli devastatori sulle famiglie delle nostre zone…».
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La camorra lo zittì per sempre anche per questo. Ma la sua eredità indistruttibile ce la portiamo dietro oggi. È l’eredità di uno uomo che ha combattuto con la sola forza delle parole, diventando suo malgrado uno dei tanti eroi comuni che hanno sfidato apertamente il potere criminale, non si sono piegati alle sue logiche spietate e ne hanno denunciato soprusi e ingiustizie a voce alta, senza averne timore. Vent’anni dopo il ricordo di questo eroe in tonaca e il valore della sua lotta, è più vivo che mai. Il 18 e 19 marzo prossimi, Rai uno trasmetterà in prima serata la fiction ‘Don Diana – Per amore del mio popolo’, diretta da Antonio Frazzi. A dar vita sul piccolo schermo al prete di Casal di Principe sarà l’attore campano Alessandro Preziosi, protagonista di recente della fiction sul terrorismo Gli anni spezzati. Accanto a lui, nel cast, ad interpretare il ruolo dei genitori, gli attori Gigi Savoia e Anita Zagaria.
In prossimità dei giorni in cui ricorre il ventennale dell’omicidio di Don Diana anche Rai Storia renderà omaggio alla straordinaria opera di questo sacerdote con il documentario “Non Tacerò”. La storia di Don Peppe Diana, primo appuntamento di Diario Civile, un nuovo programma sui temi della giustizia, dei diritti, della legalità. Con la voce narrante dell’attore Andrea Renzi, il documentario – in onda il 12 marzo alle 21:15, e in replica venerdì alle 22:45 – si sofferma soprattutto sulla vicenda umana del parroco, gli anni della formazione, il passato da scout e l’impegno contro la camorra, attraverso le testimonianze dei familiari, la madre Iolanda e i fratelli Emilio e Marisa Diana, e di quanti lo hanno conosciuto, come l’ex sindaco di Casal di Principe Renato Natale, la giornalista Conchita Sannino e i parroci in prima linea come lui nella battaglia per la legalità. Testimonianza importante è anche quella di Roberto Saviano che fa il punto sui depistaggi e le falsità che infangarono la figura di Don Diana all’indomani della sua morte. Con gli interventi di quattro magistrati come il Procuratore nazionale antimafia Franco Roberti, il Procuratore di Reggio Calabria Federico Cafiero De Raho, e i giudici Raffaele Cantone e Francesco Curcio, viene anche ricostruita la complessa vicenda giudiziaria di cui è stato protagonista il sacerdote anticamorra la cui eredità è stata raccolta oggi nel lavoro di Libera, l’associazione fondata da Don Ciotti che opera con cooperative agricole nelle terre sottratte ai clan, terre (ri)nate per affermare un economia sana, ecosostenibile, ma soprattutto legale.
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