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Categorie: Calcio News Sport

La Serie A è diventata uno spettacolo virtuale, stadi vuoti e sbadigli

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Giorgio Bruni

Il pallone italiano è un meraviglioso affresco pompeiano strozzato dalla polvere, violentato da anni di incuria e malgoverno. L’ultimo terzino in grado ai azzeccare un cross è custodito al museo. Nei bar il solito vecchio millantatore giura d’aver visto un’ala sgusciare in dribbling. E la moviola in campo da noi l’hanno già introdotta, senza saperlo, alcuni centrocampisti che corrono al rallenty.

I tifosi da poltrona non resistono alla tentazione da telecomando e scelgono una partitissima straniera inclusa nel canone salato delle pay-tv. Se prendete un autobus pieno di scolari all’ora di punta, non stupitevi se i ragazzini li sentirete parlare e discutere dell’ultimo gol di Cristiano Ronaldo con il Real Madrid, invece di Bologna-Sassuolo.
Il nostro era il campionato più spettacolare e ambito, in particolare sul finire degli anni ’80 e nel ’90 (foto), anno dei Mondiali in Italia e delle innumerevoli finali europee che videro protagoniste le nostre squadre più forti come il Milan di Baresi e Maldini, Juventus e Inter.
Oggi assistiamo a uno spettacolo desolante: stadi mezzi vuoti, razzismo, star in fuga, partite inguardabili e noiose e una Nazionale che stenta (quarta nel ranking Uefa e ottava per la Fifa), hanno spinto la Serie A verso la periferia d’Europa.
Nel decennio 1983-1993, il boom del calcio tricolore: la Roma dello scudetto, l’ultima Juve del Trap, il Verona dei miracoli, il Napoli di Maradona, il Milan di Sacchi e degli olandesi, l’Inter dei record, la Samp di Vialli e Mancini, il nuovo Milan di Capello che poi ad Atene nel ’94 ne segnò quattro al Barcellona e fece piangere Cruijff.

Il nostro calcio ha dimenticato il suo tempio naturale: l’indice di riempimento degli stadi fa paura: quasi pieni in Inghilterra (99%), Germania al 90%, Spagna 67,2% e l’Italia alla mesta cifra del 51,9%.
22mila spettatori medi rispetto ai quasi 30mila di vent’anni fa sono un dato allarmante.
Il marchio della Serie A ha perso appeal, i campioni stranieri non sognano più l’Italia e le tv estere vogliono trasmettere gli altri campionati.

La cosa più grave è che non siamo fermi, ma siamo tornati indietro, anche come qualità.
C’è stato un tempo non lontano in cui anche le squadre di provincia avevano autentici campioni: l’Udinese Edinho e Zico, il Cagliari Francescoli e Fonseca, il Pescara Junior e Sliskovic. Oggi molte squadre, le milanesi in particolare, sono imbottite di stranieri di discutibile livello.

La burocrazia che attanaglia il nostro Paese ha fatto la sua parte. L’Italia non attira capitali stranieri perchè la nostra economia è poco trasparente e competitiva, il regime fiscale e burocratico scoraggia gli investitori.
La strada è in salita, il campionato più brutto e il calcio più povero.
Ché le città d’Italia tutte piene
son di tiranni, e un Marcel diventa
ogne villan che parteggiando viene.
Così scriveva Dante nel sesto canto del Purgatorio. Un’altra epoca, in una città che avrebbe dato i natali all’antico Calcio Storico Fiorentino.

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Giorgio Bruni