Lo scorso venerdì il Premier Matteo Renzi annuncia con entusiasmo tramite twitter l’abrogazione ufficiale della Web tax voluta insistentemente da Francesco Boccia, deputato del Partito Democratico e inserita nella legge 147 del 27 dicembre del 2013.
L’abrogazione è confermata nel testo pubblicato il 6 marzo in Gazzetta Ufficiale e dal comunicato stampa di Palazzo Chigi che definisce come “rispetto alla norma precedentemente prevista, viene abrogata la norma della legge di stabilità che prevedeva la Web tax”.
L’abolizione quindi c’è? Sì e no, si può affermare che è parziale.
Visto che la norma introdotta da Francesco Boccia è composta da numerosi emendamenti fino al giorno della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto Salva Roma, in cui è stata inserita l’eliminazione della Web tax non era stato comunicato nessun dettaglio sul reale intervento del Governo.
Nonostante la presa di posizione netta di Renzi, dal testo si evince che l’abrogazione riguarda una sola parte della norma, nello specifico: da un lato viene eliminato l’obbligo di partita IVA per i titolari che vendono servizi pubblicitari, dall’altro rimangono validi gli emendamenti sulla tracciabilità dei pagamenti destinati alle aziende che vendono beni e servizi online.
In particolare si fa riferimento al numero 177 e al numero 178 della 147, in vigore dal primo gennaio 2014, che secondo il deputato Francesco Boccia potrebbero fruttare al Paese circa 140 milioni di euro all’anno. Una valutazione che molti addetti ai lavori non condividono affatto, sostenendo che un sistema di tracciabilità già è attivo, e quindi il l’ipotetico gettito fiscale non esisterebbe.
L’emendamento 178, nel dettaglio, obbliga “l’acquisto di servizi di pubblicità online esclusivamente mediante bonifico bancario o postale dal quale devono risultare anche i dati identificativi del beneficiario”. Vengono di fatto escluse le carte di credito, incluse le prepagate.
Quindi il problema non è completamente risolto, infatti adesso bisogna osservare cosa succederà durante la conversione in legge alla camere. Resta, però, il fatto che Bruxelles è la sede più adatta per dipanare la matassa così come sottolineato da Renzi stesso, che ha affermato “i temi della Web tax vanno posti in Europa, altrimenti rischiamo di dare l’immagine di un Italia che rifiuta l’innovazione”.
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