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Categorie: Economia News

Il lavoro delle donne in Italia non è un tema di genere

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Rosanna Perrone

Sono già due anni che l’Istat commenta in negativo i dati delle sue ultime indagini sull’occupazione femminile in Italia, denunciando come il naufragio dell’economia italiana pesi enormemente sulle strategie delle famiglie per resistere alla crisi e che il ruolo delle donne, in questo, sia fondamentale per riuscire a superare questi tempi bui. Il confronto con l’Unione Europea rileva che la quota di donne occupate in Italia rimane di gran lunga inferiore, registrano un 47,1% italiano contro 58,6% europeo.

Lasciando da parte la retorica questione delle pari opportunità sul lavoro, per cui non voglio riferirmi banalmente al numero di posti di lavoro occupati da uomini e donne, ma proprio alle opportunità professionali legate al lavoro svolto in base al genere, occorre sottolineare che il problema italiano è ancora più radicato e arretrato, di tipo culturale prima ancora che economico.

Rapporto Istat 2013: le donne lavorano di più, ma a quale costo?

Con il Rapporto 2013 l’Istat consegna all’opinione pubblica e al mondo politico tragici numeri riguardanti il lavoro in Italia: disoccupazione all’11,5%, disoccupazione giovanile al 35,3%, disoccupazione di lunga durata al 5,6%.
Ma se l’occupazione complessiva è crollata di 506.000 unità dal 2008, l’occupazione femminile fa eccezione alla valanga dei segni negativi registrando anzi una serie di punteggi in aumento.
In pratica si rileva che ai tempi della grande crisi le donne lavorano di più: +110.000 unità rispetto all’anno precedente e +24% la percentuale delle donne disposte a lavorare.

Come vanno letti i numeri

L’aumento del lavoro femminile in Italia negli ultimi due anni, però, si spiega anche in base ad alcuni fattori particolari: effetto straniere, per cui lavora il 7,9% di non italiane in più rispetto all’anno precedente, effetto anziane, per cui lavora quasi il 7% in pià delle ultracinquantenni a causa della riforma delle pensioni, ed effetto crisi, per cui continuano a crollare i posti di lavoro maschili e le donne di famiglia si improvvisano lavoratrici per far fronte alle esigenze economiche, anche accettando condizioni che in passato erano ritenute inaccettabili.

I ricercatori Istat hanno sottolineato infine anche un “gender pay gap”, cioè un effetto sottopaga.
Insomma, la situazione lavorativa delle donne italiane non è così positiva come potrebbe sembrare anche perché condizionata dal part-time involontario e segregata alle mansioni a bassa specializzazione.
Dal 2008 la crescita di professioni non qualificate risulta più che raddoppiata rispetto a quella degli uomini, tanto che per spiegare la metà delle occupazione maschili serve nominare 51 professioni, ma solo 18 per le donne.
Come se non bastasse, esiste una differenziazione di genere nelle retribuzioni: a parità di altre condizioni, in media la retribuzione oraria delle donne è dell’11,5% inferiore a quella degli uomini, registra l’Istat.

Ciò induce a pensare che al mercato del lavoro italiano convenga abbattere il lavoro maschile e fare indirettamente pressioni affinché le donne improvvisino e accettino qualsiasi tipo di lavoro, proprio perché il compenso previsto per le loro prestazioni costa di meno: ecco cosa intendevo poco fa per retorica delle pari opportunità, definendo il problema italiano di tipo culturale, veramente arretrato.

Indagine Microsoft: si intravede una via percorribile

Un’indagine di recente pubblicazione, a cura di Microsoft Italia e Valore D, condotta su un campione di circa 1000 persone di ambo i sessi, rileva che l’83% della popolazione ritiene sia necessario sacrificare la propria vita personale per raggiungere importanti risultati professionali e il 56% ritiene, inoltre, che una per una donna, a parità di competenze e capacità, sia comunque più difficile fare carriera.

Così, una soluzione efficace per dare risposta civile alle questioni sollevate poco sopra, potrebbe essere quello di dare valore allo smart working che, grazie alla possibilità di lavorare da remoto e di avere orari flessibili, permette di conciliare lavoro e vita privata.

Per l’8 marzo, “festa della donna”, in regalo la “legge Smart Working”

Con l’evento di ieri, Donne on the rise, Microsoft Italia e Valore D hanno voluto incrociare le proposte a livello istituzionale, con la testimonianza del deputato Alessia Mosca, tra i firmatari della nuova legge dedicata allo Smart Working, e lo stato dell’arte descritte da contesti come Microsoft Italia, Nokia e Autogrill, dove le donne riescono ad eccellere lavorando da web.
In Microsoft Italia, infatti, oltre il 40% del team è costituito da donne e il migliore risultato di tutti i Paesi in cui Microsoft è presente è proprio quello di Microsoft Italia.
Lo Smart Working, in base alle esperienze di queste aziende, riesce a portare risultati eccellenti in termini di maggiore soddisfazione e coinvolgimento delle persone, che si traducono a loro volta in maggiore produttività.

Perché il lavoro femminile in Italia non è un tema di genere

Spostare in outsourcing il lavoro sta velocemente diventando una prassi per le piccole e medie imprese, che utilizzano i canali online per varie necessità: che si tratti di contabilizzare fatture, scrivere testi o inserire dati, sono sempre di più le aziende che utilizzano piattaforme e freelancer per i propri progetti di lavoro. Oltre il 47% dei freelancer è donna e le donne dominano in molti settori, soprattutto la virtual assistance e la creazione di contenuti.

In questo momento, infatti, un settore in crescita esponenziale, particolarmente favorevole al mondo femminile, è il Business Process Outsourcing, ovvero relativo i lavori di segreteria ed amministrazione: nel 2013 gli annunci di ricerca di “virtual assistant” in outsourcing sono infatti cresciuti a livello globale e già solo le offerte di lavoro di questo tipo, lo scorso anno, sono state circa 30.000.
Un altro settore particolarmente vitale è quello dell’editoria e della content curation: la richiesta di redazione e posizionamento dei contenuti cresce in Italia del 54%.

L’Italia, le sue imprese e le sue famiglie non possono permettersi di non valorizzare tutte le risorse e tutti i migliori talenti professionali, poiché non si tratta più di affrontare un tema di genere, ma di puro business, di profitto, di risultati sociali, di impatto sulla qualità della vita delle famiglie e del bisogno di nuove idee che il nostro Paese chiede di avere per poter essere all’altezza di parlare di innovazione.

Per concludere, le donne, trovandosi disoccupate e con la famiglia impoverita, hanno deciso di mettersi in gioco, spesso creando in proprio un’opportunità di lavoro, e hanno trovato sul web una possibilità per offrire lavoro di qualità a prezzi competitivi: è questo che deve essere portato avanti, per sostituire quel dato per il quale il lavoro femminile “in aumento” è ancora del tutto virtuale e troppe volte, purtroppo, riferito a condizioni di sfruttamento economico.

“Smart working”si presta probabilmente a diventare la nuova espressione di moda per indicare tutta una serie di iniziative ed eventi che dobbiamo sin da subito imparare ad interpretare per non restare nuovamente incastrati nella retorica delle soluzioni innovative, rivolte a problemi che in Italia non vengono realmente mai risolti.
Se la società italiana nel suo insieme riuscisse a comprendere la differenza tra queste due istanze, maturerebbe una mentalità finalmente più aperta e fertile, uscirebbe dal problema occupazionale molto prima dell’attuazione di una qualsiasi iniziativa politica e tornerebbe a crescere e parlare concretamente di futuro.

[Credits grafici: ingenere.it]

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Rosanna Perrone