Dopo gli ultimi crolli agli scavi di Pompei, si corre ai ripari: «Faremo una “check list” per monitorare da vicino l’avanzamento dei lavori e un punto della situazione pubblico prima della pausa estiva», dichiara infatti il portavoce del commissario Ue alle Politiche regionali Hahn all’ANSA.
A salvare la disastrosa situazione degli scavi archeologici infatti ci sarebbe il cosiddetto “Grande Progetto Pompei“, finanziato per 75 milioni dall’Unione Europea. Ma entro dicembre 2015 i lavori devono essere conclusi mentre al momento sono attivi solo cinque dei 39 cantieri previsti. Il commissario Hahn non sembra ancora pessimista, ma le parole sono state lapidarie: «le deroghe non sono possibili. Invece di cercare le eccezioni, la cosa più importante è concentrarsi e lavorare».
Ecco allora che Matteo Renzi lancia l’ultima sfida: ci pensassero i privati. «È inaccettabile – ha dichiarato – che si continui a far finta di niente se, mentre La Grande Bellezza vince l’Oscar, c’è un muro di Pompei che crolla».
D’altra parte, il ragionamento fila: se il problema è quello dei soldi, cosa c’è di male nel chiederli a chi ne ha. Si parla pur sempre di beni il cui valore non può essere sacrificato; dunque «se il privato tiene in piedi il muro perché non permetterglielo?»
Forse perché non tutti hanno dimostrato di gradire l’idea. Basti ricordare la vicenda del Colosseo e di Diego Della Valle che, con un progetto del valore di 25 milioni di euro (provenienti direttamente dalle sue tasche) ha dovuto affrontare innumerevoli ostacoli burocratici da parte del Codacons, prima di riuscire ad ottenere l’ok per i lavori di messa in sicurezza e ristrutturazione dell’anfiteatro più celebre del mondo.
Doveva infatti essere il gennaio 2011, invece l’inizio dei lavori è slittato alla fine del 2013. Tre anni di cavilli burocratici durante i quali il Colosseo a quest’ora sarebbe già tornato a splendere, stando ai piani del padrone di casa Tod’s. Quanto al tornaconto personale, unico grande motivo di diffida, già nel 2012 Della Valle era stato chiaro: «Abbiamo reso disponibile il budget chiedendo e pretendendo che non ci fosse alcuna operazione di ritorno aziendale, perché il monumento appartiene agli italiani e riteniamo assurdo che qualcuno possa imbrattare un monumento simile. Lo sfruttamento del marchio è pura fantasia. Avremo solo il permesso di stampare un piccolo Colosseo sulla carta intestata della onlus “Amici del Colosseo” che farà conoscere l’iniziativa nel mondo, cercando di attirare altri fondi per operazioni simili».
Un compenso ragionevolmente equo, per molti. Sullo stesso principio, dunque, potrebbero muoversi gli scavi di Pompei. Forse sarebbe una condizione preferibile a quella di elemosinare proroghe all’Unione Europea, se non fosse che i problemi non finiscono qui: qualora arrivassero i soldi, infatti, mancherebbero gli operai – come spiega il direttore generale delle antichità Luigi Malnati. «L’organico – spiega Malnati- manca della linfa costituita dagli operai che da anni, a causa del blocco delle assunzioni, per problemi amministrativi dello Stato, ci dota oggi di personale tra i 45 e i 60 anni».
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