È stato il cavallo di battaglia dell’intera campagna elettorale di Matteo Renzi: «L’Italia adempierà ai propri obblighi non perché ce lo chiede l’Europa ma perché ce lo chiedono i nostri figli». Dunque sono state ancora queste le parole con cui il presidente del Consiglio si è presentato al Parlamento Europeo, in occasione dell’entrata del Pd nel Partito Socialista Europeo.
Davanti al presidente del Parlamento europeo Martin Schulz, il premier si è subito detto “orgoglioso” dell’ingresso nel Pse. «A breve presiederemo il semestre europeo – ha ricordato il poliglotto Renzi – e lo vogliamo fare non solo adempiendo ad obblighi ma utilizzando il semestre Ue per discutere un nuovo modello».
L’inizio del prossimo semestre europeo è infatti considerato da Matteo Renzi anzitutto come un punto di arrivo: come più volte promesso, l’Italia deve presentarsi all’appuntamento “avendo fatto i compiti a casa” (definizione accettata dal premier con riserva, ma pur sempre emblematica), dove per “compiti” si intendono la riforma del lavoro, della giustizia, del fisco, costituzionali e, infine, quella che è stata presentata come «una gigantesca scommessa educativa».
«Dobbiamo arrivare al futuro non aspettando il futuro ma costruendolo e accompagnando la sfida di una nuova Europa»: la frase è di Willy Brandt, ma stavolta era Renzi a parlare. L’occasione, afferrata al volo, è la candidatura del Presidente del Parlamento Europeo Martin Shultz a Presidente della Commissione e il tema è quello, caro anche agli italiani, della legittimazione popolare. Schultz infatti è stato designato come candidato proprio dal Pse, ma l’intenzione anche qui è quella di voler essere «il primo presidente della Commissione europea eletto dalla gente».
Il discorso si ricollega dunque alla controversa situazione italiana, in cui Silvio Berlusconi continua a sostenere di essere “l’ultimo premier eletto dal popolo” mentre Matteo Renzi è ancora visto da molti come colui che è salito al potere tramite una manovra di palazzo per certi versi percepita come scorretta ed in ogni caso estranea alla volontà popolare.
All’interno dei palazzi del potere, le reazioni all’entrata del Pd nel Pse erano quelle facilmente prevedibili: ottimismo e soddisfazione dal centrosinistra, per il quale la scelta era facilmente prevedibile; ostilità dal centrodestra, secondo cui «la sinistra europea confonde la vera solidarietà con l’assistenzialismo, trasformando gli individui in sudditi» – come scritto da Berlusconi in un messaggio ai giovani del Ppe.
Per quanto riguarda i cittadini italiani, invece, la differenza a malapena si nota. La scarsa considerazione in cui sono tenute le elezioni europee si dimostra dal fatto che, secondo i sondaggi, nulla è cambiato per il Pd dopo il suo ingresso nel Pse.
«L’ingresso del Pd nel Pse non aiuta né danneggia dal punto di vista del consenso elettorale: è come un buon bicchiere d’acqua preso al mattino, a digiuno» spiega Nicola Piepoli, presidente dell’omonimo Istituto di sondaggi.
Dello stesso parere è Antonio Noto, direttore Ipr marketing: «Il consenso al Pd – spiega – non è influenzato dalla sua adesione al Pse, come non lo sarebbe stato se avesse scelto di aderire ad altri gruppi».
Non si tratta dunque di scarso interesse nei confronti dello schieramento del Pd, la cui confluenza nel Pse infatti sarebbe dovuta essere scontata anche da un punto di vista prettamente storico; l’irrilevanza della scelta, piuttosto, è da ricercarsi nella generale sfiducia che gli italiani provano verso l’Unione Europea e, ancora più in generale, verso la politica.
[Foto credist: partitodemocratico.it]