L’Italia è un Paese difficile da cambiare, tanto più se a farlo deve essere la politica; in più di sessant’anni di Repubblica si sono alternati ben sessantatre governi in diciassette legislature, numeri impressionanti che danno l’idea dell’instabilità istituzionale e della fragilità dei partiti politici italiani. Riforme e leggi che attendono da anni, talvolta decenni, e un panorama desolante che ha dato via libera al populismo e a un fortissimo senso di anti politica tra i cittadini.
Matteo Renzi è stato da poco nominato Presidente del Consiglio tra la diffidenza di gran parte dell’opinione pubblica, e con un impopolare sgambetto al collega di partito Letta. Ha in breve tempo scelto i membri del suo esecutivo circondandosi di otto donne e di tanti giovani, ma nonostante ciò l’ex “rottamatore” continua a non convincere del tutto. L’ex Sindaco di Firenze però forse è l’uomo giusto per cambiare le cose: ecco dieci buone ragioni per cui potrebbe dare un taglio al passato e riuscire dove gli altri hanno fallito.
Matteo Renzi ha 39 anni, è stato Presidente della Provincia e Sindaco di Firenze, iscritto alla Margherita e uno dei primi ad aderire al progetto veltroniano del Pd, ma non può essere definito un uomo del “palazzo”; non è mai stato parlamentare, non ha mai aderito a una corrente prima di fondarne una propria, non ha qualcuno all’interno del suo Partito a cui deve qualcosa; è un self made man, e com’è stato per Berlusconi a destra, questo gli dà carta bianca su come e dove muoversi.
La sua giovane età gli permette di prendere il buono che deriva dalla sua formazione politica e culturale (più volte ha preso come punto di ispirazione per il suo pantheon politico personale Giorgio La Pira, storico sindaco democristiano di Firenze) ma al tempo stesso si distacca dalle colpe dei suoi predecessori, presentandosi come l’uomo nuovo e “incolpevole”.
Nessuno fino a pochi anni fa avrebbe mai sognato a sinistra di poter oscurare politici del calibro di D’Alema e Veltroni, di poter deridere la Bindi o accusare pubblicamente la Finocchiaro rimanendo impunito. Lui ci è riuscito: è partito con lo slogan della rottamazione, ha perso il confronto delle primarie con Bersani, ma di fatto ha realizzato il suo intento pur perdendo. Oggi non usa più quella parola, ma la gente per strada lo identifica come colui che ha svecchiato la sinistra italiana.
Questo punto si collega inevitabilmente a quello sovracitato; più Matteo Renzi riesce a passare come l’uomo di una sinistra moderna, meno Berlusconi e co. possono utilizzare contro di lui l’appellativo di “comunista” che tanto spaventa ancora buona parte dell’elettorato moderato. Renzi è di sinistra, ma non è comunista, perciò ha un bacino elettorale potenziale che va dal centro di Casini fino agli scontenti di destra.
Poco più di un mese fa è avvenuto qualcosa di impensabile, Silvio Berlusconi, il nemico storico, l’uomo da combattere a tutti i costi, ha varcato le soglie della storica sede Pd del Nazareno per incontrare il Segretario. E Renzi lo ha accolto a braccia aperte, riuscendo a strappare un accordo sulla legge elettorale e sull’abolizione del Senato di cui si discute da tante legislature, ma che solo col dialogo tra i due maggiori partiti si potrà effettivamente realizzare.
Il proverbiale tempismo politico di Renzi non è casuale; la staffetta con Letta arriva poche settimane prima delle importanti nomine che spettano all’esecutivo, e questo gli permetterà di tessere una serie di alleanze con importanti settori del pubblico, che gli consentiranno di avere un controllo totale in punti cardine del potere da cui oggi è ancora escluso.
Il povero Bersani ci aveva provato a convincere i grillini o perlomeno una parte di essi a partecipare al suo progetto di governo, ma aveva ricevuto solamente risposte negative. Renzi ha avuto modo di affrontare una consultazione direttamente con Beppe Grillo, che lo ha attaccato e deriso, e da questo ne è uscito ancora più forte. Il M5S sta perdendo pezzi, e non si nasconde la possibilità che i dissidenti cacciati dal partito possano passare al versante della maggioranza.
Renzi differentemente dagli altri leader politici è più bravo in una cosa: fare credere che non abbia nulla da perdere. Siede sulla poltrona di Presidente del Consiglio, ha in pochi anni scalato i vertici del suo partito fino a diventarne Segretario e leader, ma nonostante ciò sembra sempre parlare come se di tutto ciò non gli importasse nulla, e avesse un obiettivo più importante, quello di riformare il Paese. Questo piace, perchè anche se considerato demagogico, è quello che l’opinione pubblica in questo momento vuole sentire.
Matteo Renzi è uno che può passare dal raccontare barzellette in televisione, a rilasciare un’intervista ad una rivista di Gossip, per poi andare in un programma di Maria De Filippi, e nonostante ciò non perdere di credibilità agli occhi degli spettatori. Questo perchè è un leader carismatico, basa la sua forza sulle sue doti di comunicazione eccezionali; è come se ogni giorno vendesse un prodotto con slogan zeppi di frasi fatte, ma riuscisse lo stesso a portare a casa l’obiettivo. Sono passati anni dai confronti tv in cui Prodi o Bersani venivano derisi per la loro lentezza nel parlare o per il loro modo goffo di porgersi davanti alle telecamere.
Ultimo ma fondamentale punto per cui Renzi forse riuscirà laddove gli altri hanno fallito, è che non teme ricatti da parte degli alleati di governo. Non esiste più un modello come quello dell’Unione di Prodi, Renzi è alleato a Scelta Civica e Ncd, ma non ha paura di essere tradito e di ricorrere a elezioni anticipate. Sa che stavolta non converrebbero agli alleati; entro tre mesi dal suo insediamento proporrà in Parlamento una serie di proposte popolari e appoggiate dall’opinione pubblica; passerà come colui che vuole davvero cambiare le cose e se non dovesse riuscirci la colpa stavolta ricadrà sugli altri, ma per la prima volta c’è un leader in grado di dettare le proprie condizioni.
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