“Non correre“, “stai attento“, “non toccare che è sporco“, “se cadi ti fai male“: chi non ha mai ricevuto almeno uno di questi moniti da bambino?
Moniti che con il passare degli anni, con lo sviluppo della società e l’esposizione a pericoli di svariato genere, si stanno trasformando in imperativi, con conseguenze imponenti sull’educazione e sulla crescita dei più piccoli.
Su questo importante argomento, si è soffermato lo studio dell’Università di Cambridge, guidato dal dottor David Whitebread, in grado di concludere quanto il gioco all’aperto, le attività non programmate e prettamente ludiche e l’autonomia del bambino nel praticarle, siano fondamentali per il suo sviluppo fisico, psichico ed emotivo.
Una spiegazione della scienza dietro il gioco, quella dello psicologo, che consiglia la ricerca di un equilibrio tra attività controllate e prestabilite e attività libere e spontanee, a contatto con la natura, in quanto strettamente connesse con la crescita intellettuale. Insomma, una comprensione del significato di diritto e dovere, di responsabilità e divertimento, questo deve essere l’obiettivo dei genitori.
E secondo l’équipe di Whitebread, il gioco, per essere di qualità, deve essere innanzitutto libero. Un aspetto, penalizzato oggi dalle trasformazioni urbane, dalla cronaca sempre più nera e dalla conseguente mania di controllo dei genitori, più tranquilli se il bambino è davanti al computer, piuttosto che giù al parco. Il risultato? L’aumento del tasso di obesità, autolesionismo e disturbi mentali diagnosticati nei bambini.
“Nature deficit”, così viene definita la causa di questi disturbi, provocata da un accesso limitato alle attività all’aperto. E quindi basta smartphone, pc, televisori: il divertimento, quello vero, è nelle cose semplici. Nell’asfalto, nelle altalene, nella corsa, sugli alberi, nei nascondigli. Non ha un prezzo ma ha un valore.
E quel valore aggiunto lo si ritrova in capacità come la resistenza, la forza, l’adattamento, la partecipazione attiva, la socializzazione. Abilità utili per la vita, che si apprendono proprio vivendo. E come imparare ad evitare i rischi o a saperli affrontare, se non è permesso correrli?
Per questo un’altra caratteristica del gioco, secondo gli psicologi, deve essere l’indipendenza. Se il bambino agisce in prima persona, senza dover guardare qualcun altro fare le cose al suo posto e senza dover sentire la pressione del controllo su ogni sua singola scelta, la sua crescita mentale ed emotiva sarà incrementata. I bambini devono capire le regole del mondo, entrare a farne parte con calma, e imparare a sopravvivere nella giungla che è diventato.
Terza e ultima caratteristica del gioco è il divertimento. Un gioco felice, non è un gioco necessariamente intelligente. Un gioco fisico, ad esempio, aiuterà il bambino a sviluppare corpo e coordinazione oculo-manuale. Un gioco di gruppo svilupperà la sua capacità di interazione e di confronto, oltre che la sensibilità e l’empatia.
Non ogni momento della giornata, dunque, deve avere uno scopo educativo, forzato o esplicito. Non ogni momento della giornata deve essere influenzato dai problemi della vita da affrontare. Si può staccare la spina divertendosi con il proprio bambino. E lasciando che si diverta, soprattutto.
Alla fine, genitori e genitrici, guardate Tarzan come è venuto su bene.