Non è stato un discorso breve quello di Matteo Renzi in Senato; un’ora e dieci minuti per cercare di incassare una fiducia, che seppur scontata, appare fondata su basi meno solide di quelle con cui l’ex Sindaco di Firenze si era presentato nei giorni scorsi. Reazioni trasversali che hanno portato ben cinquantasette senatori a iscriversi a parlare dopo il discorso programmatico, causando uno slittamento del voto, e che in parte segnano le prime crepe nella maggioranza su cui dovrebbe contare l’esecutivo.
Alla fine Renzi ce la fa, e incassa la fiducia con 169 voti, otto più di quelli necessari, ma i numeri sono molto stretti. Durante il lungo pomeriggio sono seguite una serie di dichiarazioni, alcune delle quali inattese, che hanno fatto tremare fino all’ultimo temendo di non farcela.
Scontata la ferma opposizione del M5S, che ribadisce la totale indisponibilità ad appoggiare un Governo che appare “inconsistente e sconcertante”; nessuna prova di dialogo dunque, nè la minima apertura anche verso quelle tematiche di taglio dei costi della politica, col quale il Premier avrebbe voluto convincere una parte dei grillini. Meno sicura era invece la decisione o meno di schierarsi da parte di Sel, che seppur timidamente aveva dato segnali di apertura nei giorni scorsi, ma che dichiara attraverso il suo leader, Nichi Vendola, la delusione per il discorso programmatico ritenuto privo di veri e propri contenuti; Sel sottolinea la contrarietà totale alle politiche industriali e del mercato del lavoro, di Renzi, troppo lontane da quelle della Sinistra. Piccoli spiragli si trovano solamente sulla discussione riguardante le riforme della scuola, ma troppo poco per garantire la fiducia al nascente governo Renzi.
Nodo da sciogliere invece quello di Gal; il gruppo misto formatasi in questa legislatura in Senato, nei giorni scorsi aveva mostrato la disponibilità a partecipare alla maggioranza ma nessun suo esponente è entrato nell’esecutivo, e il voto di oggi è stato contrario, fattore probabilmente legato a doppio filo alle nomine dei prossimi giorni di viceministri e sottosegretari, di cui potrebbero fare parte. Forza Italia ha mantenuto invece il suo profilo di partito di opposizione, disponibile però di volta in volta a valutare le proposte del governo e a votare favorevolmente qualora fossero affini alle proprie.
Scelta Civica, spaccatasi con la formazione dei Popolari di Mauro e l’uscita dell’Udc, si ritrova numericamente indebolita in Senato, ma ha ribadito l’intenzione di appoggiare l’esecutivo, di cui fa parte il Ministro Stefania Giannini, coordinatrice nazionale del partito.
Banchi vuoti in Aula, invece per Ncd; l’alleato maggiore di governo risulterebbe infatti preoccupato dalle politiche sul lavoro di Renzi e soprattutto dal tema dello ius soli e delle nuove regole di acquisizione della cittadinanza. Un meeting si sarebbe svolto nel pomeriggio tra gli alfaniani e alcuni esponendi di Fi in merito, ma i dubbi sono stati per il momento accantonati a causa della necessità dei voti di Ncd per far partire l’esecutivo.
Capitolo finale dedicato al Pd; note le spaccature interne al partito, con una segreteria renziana contrapposta a un parlamento eterogeneo e in gran parte bersaniano. Ad accendere ulteriormente gli animi le posizioni di dissenso da parte di Civati, che però ha tenuto fede all’intenzione di mettere da parte gli screzi per votare domani la fiducia alla Camera.
Programma di Renzi che dunque dopo lo snellimento legato alla ricerca delle alleanze per formare la compagine governativa, sembra uscire ulteriormente indebolito da questo primo passaggio parlamentare, e, destinato a perdere strada facendo pezzi, per mantenere una maggioranza.
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