Quello di ieri è stato un discorso per la fiducia in Senato decisamente fuori dagli schemi: Matteo Renzi è andato a braccio, talvolta con le mani in tasca – in barba all’etichetta -, appassionato tanto da spingere a chiedersi se in realtà non volesse celare una cronica mancanza di contenuti. Il punto più caro su cui Renzi si è dilungato, tuttavia, è stato quello della scuola, e nello specifico dell’edilizia scolastica.
Sarà che il tema è particolarmente vicino al neo premier, considerando che la signora Renzi è appunto un’insegnate di liceo. Forse proprio in virtù di questa vicinanza si è sentito tranquillo nello sfidare i colleghi, affermando che «chi di noi tutti i giorni ha incontrato cittadini, insegnanti, educatori e mamme sa perfettamente che c’è una bellissima e straordinaria richiesta che è duplice. Da un lato si chiede di restituire valore sociale all’insegnante e questo non ha bisogno di alcuna riforma, ma di un cambio di forma mentis».
Subito è arrivato lo scherno dei 5 Stelle: «ha bisogno di soldi!» è stato il grido di Mussini.
Ma Renzi ha continuato per la sua strada, augurandosi di riuscire a far recuperare la consapevolezza di quanto sia importante il lavoro di chi, quotidianamente, si sobbarca l’impegno di formare le nuove generazioni.
«Ci sono fior di studi di economisti», ricorda Renzi, «che dimostrano come un territorio che investe in capitale umano, in educazione, in istruzione pubblica è un territorio più forte rispetto agli altri».
Come accusato dai suoi detrattori, Renzi non è andato nello specifico del problema: si è semplicemente limitato a garantire che il governo, con l’aiuto del nuovo ministro dell’Istruzione Stefania Giannini, provvederà a «coinvolgere dal basso in ogni processo di riforma gli operatori della scuola». Ma il premier ha puntato piuttosto sul fatto che la priorità è cambiare la mentalità degli italiani e ha cercato di istillare la convinzione che il pulsante di avvio del motore chiamato Italia stia all’interno delle scuole. Se gli insegnanti avessero la possibilità di formare generazioni più preparate e consapevoli, quelle stesse generazioni sarebbero l’olio in grado di far funzionare gli ingranaggi dell’intera macchina.
Per quanto nobile, evidentemente l’argomentazione è risultata piuttosto debole davanti a chi chiedeva un programma d’azione concreto. Ma, un po’ come è stato per tutto il discorso, le ipotesi sono due: o Renzi ha glissato volutamente sul modo in cui intende agire, il che legittimerebbe la fama di paroliere per cui è accusato dagli avversari e dai non simpatizzanti; oppure il presidente del Consiglio ha preferito accalorarsi sugli obiettivi a lungo termine, convinto che quelli a breve termine potranno essere raggiunti facilmente dai ministri del suo nuovo governo. Quale sia l’ipotesi giusta, lo scopriremo solo nei prossimi mesi.
Un problema però Renzi l’ha messo a fuoco: quello dell’edilizia scolastica.
«Come si può pensare che il Comune, la Provincia abbiano competenza sull’edilizia scolastica senza però avere la possibilità di spendere soldi che sono lì, bloccati perché esistono norme che si preoccupano della stabilità burocratica ma non si rendono conto della stabilità delle aule in cui vanno a studiare i nostri figli!». Il tema si ricollega dunque alla burocrazia esasperata, uno dei primi nemici da combattere. E infatti qui il presidente si fa più chiarificatore: «abbiamo bisogno di intervenire nell’edilizia scolastica dal 15 giugno al 15 settembre, con un programma straordinario – nell’ordine di qualche miliardo di euro e non di qualche decina di milioni – da attuare sui singoli territori, partendo dalle richieste dei sindaci e intervenendo in modo concreto e puntuale».
D’altra parte, l’Italia di problemi ne ha parecchi; ma se quella dell’edilizia scolastica non sembra una priorità, basterà ricordare lo sgomento di quando, ormai dodici anni fa, il tetto di una scuola elementare di San Giuliano uccise 27 bambini ed una maestra, dopo una scossa di terremoto in Molise. In quel caso le indagini stabilirono che, terremoto o meno, la responsabilità era completamente ascrivibile a costruttori e progettisti. Questo solo per ricordare il caso più drammatico, in virtù della triste equazione secondo cui tante vittime equivalgono a tanta audience, ma la lista degli esempi sarebbe infinita: basterà, la prossima volta in cui gli italiani saranno chiamati a votare, guardarsi intorno e considerare le condizioni in cui versano le scuole adibite a seggi.
«Da Presidente del Consiglio io entrerò nelle scuole, una volta ottenuta – se così sarà – la fiducia dal Senato e dalla Camera», continua allora Renzi. «Lo farò perché penso che sia fondamentale che il governo non stia soltanto a Roma e, quindi, mi recherò nelle scuole, come facevo da sindaco, per dare un segnale simbolico, se volete persino banale, per dimostrare che da lì riparte un Paese. Dalla capacità di educare».
Un impegno importante, che rimarca ancora di più quanto Renzi si senta ancora più sindaco che presidente del Consiglio: vicino ai propri concittadini, insomma.
Ma stavolta non si tratta di una città da 365mila abitanti, come può essere Firenze. Si tratta di una Nazione intera e di milioni di italiani le cui problematiche variano da nord a sud. Il lavoro per Renzi non è cominciato sotto i migliori auspici, il discorso in Senato ha ottenuto più critiche che lodi e la crisi non accenna a lasciare la presa.
«Ma come? Di fronte alla crisi economica parti dalle scuole? Sì, di fronte alla crisi economica non puoi non partire dalle scuole».
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