Quando lo sport del XXI secolo si spoglia di tutti gli interessi che lo circondano ritornando al suo senso più vero ed autentico, può ancora oggi essere maestro di vita e regalare sogni e speranze, sfruttando l’ondata di popolarità che i mass media gli offrono. Persone che vengono spesso escluse dalla società cosiddetta “moderna”, che poi a veder bene tanto moderna in fondo non è, trovano così il modo di realizzarsi, con la possibilità di vivere alla pari con tutti, senza paura di essere estromessi a causa di stupidi pregiudizi. Quanto accaduto la scorsa notte a Jason Collins, giocatore Nba dichiaratemente gay è l’emblema di quanto detto sinora.
Collins, centro di 2,13 metri con 12 stagioni di permanenza nel campionato professionistico americano, aveva fatto outing alla scadenza del suo contratto con i Washington Wizards lo scorso aprile. Non un fenomeno, ma comunque un buon giocatore con alle spalle due finali per il titolo con la canotta dei New Jersey Nets. Ma a quel gesto tanto apprezzato da tutte le istituzioni a stelle e striscie, che aprrezzavano il fatto che per la prima volta un giocatore prendesse la leadership su un tema così improtante (Obama e Chelsea Clinton, compagna di Jason a Stanford, si sono schierati apertamente al suo fianco), non fece seguito un successo altrettanto grande dal punto di vista sportivo. Così Jason è rimasto senza squadra fino alla settimana scorsa.
Ma il destino lo attendeva dietro l’angolo e spesso, si sa, si presenta nelle forme più inattese. Arriva la chiamata della squadra che meno ti aspetti, quei Brooklin Nets il cui proprietario è l’oligarca Mikhail Prokhorov, russo come il suo amico Putin, al centro dell’attenzione mondiale per le sue leggi contro la propaganda gay. Una squadra ambiziosa e molto in vista, l’ideale per rilanciare una carriera bruscamente interrotta.
L’esordio è da brividi, nel mitico Staples Center di Los Angeles contro i Lakers, ma per chi ha affrontato con una simile dignità la vita questo non può rappresentare un limite. L’ingresso in campo di Jason è accolto con un boato dai tifosi locali che, seppur sotto nel punteggio, capiscono la storicità del momento: per la prima volta nella storia uno sportivo dichiaratosi gay prende parte ad una partita di uno dei quattro sport professionistici americani.
Il resto non conta. I numeri, i tiri sbagliati, i due rimbalzi presi, gli 11 minuti in campo passano tutti in secondo piano. Questa volta lo sport non ha perso l’occasione che gli si è presentata e ha sfruttato la sua visibilità per farsi portatore di valori sani. Stanotte Jason Collins ha cominciato una seconda vita sportiva e umana, nel mondo milioni di persone sono pronte senza remore a seguire il suo esempio perchè lo sport, almeno lui, non si nega a nessuno.