All’inizio non voleva sentirne parlare; solo dopo il sondaggio on line ci ha ripensato, e non per convinzione personale ma solo per questioni politicamente tattiche: Civati voterà sì alla fiducia per il governo Renzi.
La decisione è stata presa dal popolo ed ha vinto di striscio, con un 50,1% di preferenza per il sì.
«Non è per disciplina di partito» spiega Civati, «ma è chiaro che se io non dovessi votare un governo che ha una legittimazione interna al Pd dovrei uscire dal partito». Il senso, dunque, sta nel fatto che se è stato il Pd intero a votare il passaggio dell’esecutivo da Letta a Renzi, ora come minino dovrebbe votargli anche la fiducia.
«Potessi farlo liberamente, senza mettere in discussione in rapporti con il Pd, voterei no, ma proprio no» chiarisce infatti con convinzione.
In realtà, l’intenzione del terzo classificato alle primarie del Pd è quella di recuperare quanto di sinistra è rimasto nel suo partito, da molti paragonato ormai ad una nuova DC: «spero di ricostruire il centrosinistra con uno sguardo a quella sinistra che non c’è più e che in questo governo non è rappresentata. Prepariamo il “dopo Renzi”, perché bisognerà cambiare persone e atteggiamenti e anche perché dopo tutta la grande rivoluzione, la rottamazione annunciata da Renzi, vedo che sono sempre gli stessi quelli che governano e questo è imbarazzante».
Nel frattempo torna a farsi sentire anche la voce di un’altra colonna portante del Pd, ovvero quella di Pier Luigi Bersani, appena ripresosi dalla grave emorragia cerebrale che l’aveva colpito all’inizio di gennaio. Nella sua prima intervista dopo la convalescenza, rilasciata all’Unità, Bersani lancia un monito: il Pd non deve spaccarsi. Votare no alla fiducia, come sarebbe piaciuto a Civati, equivarrebbe invece a delegittimare il segretario di un partito già fragile in partenza.
La questione piuttosto ora è se protendere per una fiducia incondizionata oppure se sottostare ad una verifica del programma presentato. Tra il 50,1% degli oltre ventimila partecipanti al sondaggio lanciato dal blog di Civati, le percentuali a favore dell’una o dell’altra si dividono equamente con un 25% per ciascuna ipotesi.
Parte dei partecipanti, il 77%, aveva già votato alle primarie; di questi, ha votato a favore della fiducia il 54%. Tra chi invece non aveva partecipato alle votazioni di dicembre, il 61% ha votato no mentre ad essere favorevole alla fiducia era solo il 31%.
[Credits foto: Mauro Scrobogna/LaPresse]