C’era una volta l’Italia patria degli stopper più bravi al mondo, quelli che quando si piazzavano alle costole degli attaccanti non li lasciavano andare nemmeno negli spogliatoi. Il calcio nostrano ha sempre avuto nella difesa il punto di forza, e per la nazionale i vari selezionatori non hanno mai dovuto faticare per riuscire a trovare gente da schierare a difesa della porta azzurra. Ora, escluso il trio titolare della Juventus che pure ha dimostrato i suoi limiti in Europa, non ci sono più difensori centrali in grado di tenere alto il nome della gloriosa scuola italiana e non si intravedono all’orizzonte nomi capaci di modificare in meglio la situazione.
In un’intervista rilasciata a tuttomercatoweb qualche giorno fa il grande Bruno Pizzul, parlando di possibili convocazioni per i mondiali di Brasile, ha riassunto in poche parole lo stato attuale delle cose:“Più che degli attaccanti io mi preoccuperei dei difensori. Abbiamo dei difensori veramente al limite della sopportazione“. Come è possibile tutto ciò? Dove sono gli eredi di Maldini, Cannavaro e Nesta? Il calcio negli ultimi anni è diventato più veloce, le regole arbitrali sono sempre meno permissive e favoriscono chi attacca, ma la crisi dei difensori italiani non può essere spiegata solo dai cambiamenti in atto nel gioco. La vera questione parte dal basso, da quei settori giovanili in cui spesso i tecnici non sono in grado di insegnare nel modo giusto le basi del posizionamento e della marcatura (che sono cambiate col tempo), e comprende la poca fiducia degli allenatori nelle capacità dei difensori nostrani e nelle loro possibilità di migliorare
È così che Bonucci, Barzagli e Chiellini sono oggi gli unici nomi presentabili ad alti livelli, anche grazie al lavoro di Antonio Conte che ha saputo trovare la giusta alchimia tra loro e ne ha limato i difetti, mentre i vari Ranocchia, Ogbonna e Astori rimangono nel limbo dell’incompiutezza. Questi tre calciatori, che per le loro doti sono considerati tra i migliori prodotti espressi dal nostro calcio (tanto da essere le prime alternative dei titolari in nazionale), sono accomunati dal fatto di non riuscire a compiere un salto di qualità che li renderebbe affidabili e dal senso di costante insicurezza che trasmettono. Nell’Inter Mazzarri preferisce affidare le chiavi della difesa al super esperto Samuel, appena rientrato da un infortunio e in scadenza di contratto fra pochi mesi, a Torino Conte raramente lascia riposare qualcuno dei suoi tre titolari, e la loro prima alternativa è l’uruguagio Caceres, non di certo Ogbonna.
Il risultato dello scarso impiego è l’innesco di un meccanismo che porta questi ragazzi a perdere sicurezza nei propri mezzi e a far risaltare ancora di più quei difetti che invece dovrebbero essere migliorati col tempo.
Per Astori la situazione è un po’ diversa: da anni è sul taccuino di diverse squadre importanti e sembra sempre in procinto di trasferirsi, ma a inizio stagione si ritrova sempre a indossare la maglia del Cagliari, La sua situazione somiglia tanto a quella del reporter interpretato da Bill Murray in “Ricomincio da capo”, che ogni giorno si sveglia e rivive la stessa giornata contro la sua volontà. Il difensore bergamasco avrebbe un gran bisogno per cambiare aria e ritrovare gli stimoli giusti in un club in grado di assicurargli anche un palcoscenico internazionale.
Dietro i tre sopra citati c’è una scia di talenti importanti, inesplosi ad alti livelli o finiti per vari motivi nel dimenticatoio, dopo gli inizi importanti: da Santacroce (condizionato dagli infortuni e da un carattere particolare) ad Acerbi, che prima del grave tumore non è riuscito ad imporsi nel Milan, passando per giovani come Camporese e Caldirola, che sono stati costretti a scendere in categorie minori o a emigrare all’estero pur di trovare spazio e provare a migliorare.
La strada per restituire all’Italia una classe di difensori di alto livello è lunga: c’è bisogno di partire dalla base, dai ragazzi, per impartire loro le giuste direttive. Poi, ovviamente, sta agli allenatori dare la possibilità di migliorare ai nostri giovani facendoli giocare con continuità, senza togliere loro spazio ad ogni errore commesso.