1. La Causazione: chi parte bene è a metà dell’opera
Saggezza popolare a parte, lo dice chiaramente Guy Kawasaki nel suo libro L’arte di chi parte (bene): un’arte che è mancata a Fabio Fazio evidentemente quest’anno, in un’edizione del Festival di Sanremo risultata quasi sempre molto noiosa. Così neanche dopo cinque serate, come prevedibile, il Festival poteva arrivare fra le stelle.
Forse colpa dell’eccessivo tono malinconico mantenuto, uno sguardo al passato dell’Italia, quel passato bello, florido dal punto di vista artistico e sociale che, però, è appunto passato. E ricordarlo evitando false retoriche è l’opera più importante che avrebbe dovuto realizzare la sessantaquattresima edizione del festival di punta della musica italiana.
“Proponetevi di realizzare qualcosa di significativo”: ma se per significativo intendiamo superare cinque serate -metaforicamente “la crisi”- con uno share accettabile, partendo da una formula che funzionava solo nel passato, finiremo col galleggiare su un presente che non ci piace, realizzare una puntata televisiva che non sarà più che mediocre, ridere di una satira che in fondo non ci fa più ridere da un pezzo, esattamente come quella bella riforma costituzionale che poi non si è fatta mai… è come una startup che, scesa dal palcoscenico, poi non diventa impresa. E noi l’abbiamo anche finanziata. “La significatività non sta nel denaro, nel potere o nel prestigio” ma negli obiettivi nobili, come quello di accrescere la qualità della vita o di impedire la fine di qualcosa di positivo, che offrono un vantaggio straordinario, ma sono il risultato di un difficile cammino che attende chi vuole raggiungerli davvero.
2. L’Articolazione: il mito della grande bellezza è un grande disastro
“Cara Europa, noi siamo un popolo complesso, siamo diversi da voi. Noi per loro siamo i cugini scemi” ha detto Maurizio Crozza durante il suo monologo all’ultima puntata.
Il comico si è legato al filo conduttore di questo Festival, la bellezza, ed ha detto che “la bellezza all’Europa chi gliela ha insegnata se non noi? Noi avevamo Giotto che affrescava le cattedrali, loro avevano le capanne che affrescavano con i wurstel. Il Rinascimento dov’è nato, forse, a Stoccolma?” Senza noi italiani, come avrebbero fatto a suonare. Il pianoforte l’hanno inventato gli italiani, altrimenti come ci sarebbero stati i notturni di Mozart?”, facendo così un viaggio nelle eccellenze italiane, ovvero citando inventori di oggetti e strumenti di cui oggi non si riesce a farne a meno e che hanno dato vita a nuove importanti innovazioni. Sempre gli italiani, ha sottolineato questo monologo, hanno dato l’avvio oltreoceano a nuovi progetti e sviluppi.
Bene. Vogliamo continuare a fare della retorica dell’Italia, culla della bellezza e della cultura, il nostro cavallo di battaglia? Non stiamo ammettendo a noi stessi quello che è venuto dopo il Rinascimento, però, e perché certe evoluzioni, nella musica quanto nella tecnologia, sono nate e continuano a nascere ma non riescono poi a vivere in Italia. Il vero grande disastro è vivere nella nostalgia romantica di quel che siamo stati, di quello che potremmo essere. Contemplando, nella maniera che i filosofi antichi hanno sconsigliato, cioè senza agire.
3. L’Attivazione: chi bara, paga
(Anche se con la notizia che metà della corruzione europea è italiana abbiamo ancora poco da moralizzare agli altri, ad ogni modo…) Poche parole da dedicare all’episodio della seconda serata del Festival, il cui triste protagonista è stato Riccardo Sinigallia, simbolo di quello che rappresenta oggi Sanremo per l’Italia (o l’Italia per Sanremo, se vi piace di più): ha cercato di fare il furbo con la sua performance non originale al Teatro dell’Ariston, così colto in flagranza, ha ricevuto in cambio l’esclusione.
Il furbo, però, può sempre redimersi e, in questo caso, accettando dignitosamente la reazione della commissione sanremese senza accennare a ricorsi che sarebbero risultati fuori luogo, si può trasformare in persona intelligente.
Un’impresa intelligente, uno Stato intelligente, rispetta le regole.
4. La Proliferazione: abbandoniamo l’ipocrisia del produrre risultati
Importante il monologo, alla terza serata, di Luciana Littizzetto, nella definizione di bellezza come diversità. “Ciascuno è bello a modo suo, la bellezza è tante cose, non ha a che fare con la normalità. La bellezza è essere diversi. Un mondo di uguali è impossibile, è il nazismo che ammazzava i deboli e i diversi” dice la Littizzetto, che poi elenca una serie di esempi. Per lei sono bellissimi Gillian, la modella sulla sedia a rotelle, Alex Zanardi che riesce a scherzare anche se non ha le gambe, Lucia Annibale, la ragazza sfregiata che ha avuto il coraggio di ripartire e affrontare il mostro in tribunale, il bambino con la sindrome di down protagonista della pubblicità di un marchio di moda inglese. “Hanno diritto di vedersi rappresentate nel mondo della cultura, dello spettacolo e della politica” ha detto.
“Da noi se un ministro è nero le tirano le banane. Quanto ci vorrà perché un bambino down compaia nello spot della Nutella, nello spot Barilla nella famiglia tradizionale? Se a nostro figlio facciamo credere che il mondo è quello dei cartoni animati non ci stupiamo se quando vede per strada uno sporco e ubriaco gli dà fuoco. I fiammiferi glieli abbiamo dati noi”.
Ecco il problema della società italiana, di cui al punto 3: mentalità, sapere e cultura d’impresa fanno capo al sistema educativo e scolastico. Da rifare.
5. La Reputazione: in Italia quest’anno vince chi…
Da podio, chi avrà raccontato una nuova bugia: Renzo Rubino.
Chi avrà fatto la cosa giusta: Raphael Gualazzi.
Chi, viaggiando “controvento”, avrà avuto grandi idee per partire bene: Arisa.