In Europa la corruzione è un fenomeno costante che costa agli Stati circa 120 miliardi di euro l’anno: l’Italia si trova al secondo posto per percentuale di corruzione, dopo alla Grecia.
Proprio questo mese, la Commissione Europea ha stilato un atto d’accusa nei confronti della corruzione in terra italiana facendo notare che nel nostro Paese i costi diretti della corruzione ammontano a 60 miliardi di euro annui, pari a circa il 4% del PIL, addirittura la metà dell’intero tasso di corruzione europeo.
Non sono dati rassicuranti, tanto più se si pensa all’impatto sociale che un tale indice di corruzione può avere su un’economia messa in ginocchio dalla crisi economica che negli ultimi anni ha colpito il nostro paese.
Il dato che più mette in allerta è quello messo in evidenza dall’Eurobarometro del 2013 sulla corruzione, che pone in evidenza come il 97% degli intervistati ritenga che la corruzione sia un fenomeno dilagante, il 42% afferma di subirla quotidianamente e l’88% degli intervistati ritiene che raccomandazioni e corruzione siano il modo più semplice per accedere a determinati servizi e cariche pubbliche.
Il maggiore tasso di sfiducia è rivestito nella classe politica italiana che, anziché governare il Paese, si lascia corrompere portandolo in rovina, relegandolo allo sconforto e alla vergogna popolare.
Se si pensa che coloro che devono far rispettare le leggi anticorruzione e perseguire casi simili sono gli stessi che hanno un legame con il malaffare, come si può chiedere fiducia al popolo? Corruzione, finanziamento illecito ai partiti e rimborsi elettorali indebiti sono solo alcuni dei reati di cui si sono macchiati individui appartenenti ad alte cariche politiche. Uno studio del 2010 a cura del Center for the Study of Democracy considera il caso italiano tra i più esemplari per far intendere quanto siano stretti i legami tra alte cariche pubbliche, criminalità organizzata e corruzione. Alcuni dirigenti politici si lasciano corrompere e la corruzione chiama, inevitabilmente, la criminalità organizzata.
Nel 2012 è arrivata in aiuto la nuova legge anticorruzione, che si proprone di attuare un cambiamento che parta dalla mentalità della società, rafforzando le politiche anticorruzione a livello centrale, regionale e locale.
La l.n.190 prevede infatti l’obbligo per tutte le istituzioni di adottare un piano anticorruzione, per aumentare la trasparenza in ogni settore a partire dall’assegnazione degli appalti alle imprese, ambito particolarmente esposto al rischio di corruzione con abuso delle procedure negoziate, conflitto di interesse nella valutazione delle offerte e criteri di selezione o di abuso della motivazione d’urgenza per evitare gare competitive.
Essa prevede inoltre regole più rigide e restrittive per le cariche pubbliche elettive per l’elegibilità di individui precedentemente indagati per crimini contro la pubblica amministrazione, per la trasparenza della spesa pubblica e per l’accesso all’informazione.
Proprio l’informazione è stato un altro punto sul quale si è battuta la Commisione Europea nel rapporto dello scorso 3 febbraio. Infatti se da un lato la stampa e i mezzi di comunicazione si sono sempre dimostrati in prima fila per denunciare i casi di corruzione, la loro indipendenza e libertà è spesso vincolata dal loro assetto proprietario troppo spesso tendente ad un regime monopolistico che causa notevoli problemi portando l’Italia, ancora una volta, a posizionarsi tra i paesi con una stampa “parzialmente libera” nell’indice della libertà di stampa 2013 della Freedom House.
L’Italia è in un momento molto critico, la crisi e la corruzione l’hanno messa in ginocchio e i tempi giudiziari troppo lunghi lasciano un’interminabile scia di amarezza, pertanto è necessario cambiare direzione. Un divario troppo netto tra le classi sociali è la prima calamita che attira a se criminalità e possibilità di corruzione. Le leggi arrivano in soccorso ma se chi è chiamato ad applicarle è in prima persona coinvolto in conflitti di interessi: la strada è ancora lunga, ma soprattutto ancora in una ripida salita.