“E poi la gente cambia. L’autore di Doctor Sleep è parecchio diverso dall’alcolista pieno di buone intenzioni che ha scritto Shining, ma entrambi sono interessati a una sola cosa: raccontare una storia formidabile“. La nota finale che segue il suo ultimo romanzo suona come un avvertimento. Però Stephen King non è del tutto sincero: Doctor Sleep non è che il corollario post-moderno di Shining. All’interno dell’Overlook si gettava il seme della follia che anni dopo avrebbe trovato il proprio sviluppo, attraverso il personaggio catalizzatore, quel bimbo col triciclo dalla psiche devastata che si salva dalla furia omicida del padre, ma non dai fantasmi che gli abitano la mente, sabbie mobili quotidiane.
Doctor Sleep si apre con una notizia: l’Overlook Hotel è stato distrutto da un enorme incendio. Il bambino che si è salvato insieme alla madre (deceduta pochi anni dopo) e al cuoco dell’albergo, Dick Halloran, è rimasto illeso. Almeno fisicamente. Perché Danny Torrance, diventato grande (ora si fa chiamare Dan), ha scoperto un modo, altrettanto terribile, per tenere a bada i fantasmi dell’infanzia: l’alcol. Il percorso di autodistruzione intrapreso da Dan sembra arrivare a un punto di non ritorno, fino a quando l’uomo non sceglie di chiedere aiuto, rivolgendosi alla Alcolisti Anonimi. Dan pian piano torna in carreggiata: si trasferisce a Frazier, una cittadina del New Hampshire e vi trova lavoro. Quando però la bottiglia rimane chiusa, la cassetta che custodisce gli spettri del passato si riapre. Nel frattempo, Danny incontra una ragazzina, Abra, dotata come lui della luccicanza e, proprio per questo, finita nel mirino di un’organizzazione segreta millenaria, Il Vero Nodo, composta da esseri umani diventati bestie che si nutrono del cosiddetto vapore: la magia insita nei bambini.
Il re del brivido continua a raccontarci storie di sogni che generano mostri, amplificando stavolta l’aspetto paranormale e allargando l’intreccio narrativo, col rischio di esagerare (delude qualche colpo di scena alla Beautiful). La figura della piccola Abra pare una versione di Harry Potter rimodellata da King e il ricorso all’espediente dei sogni multipli non può che riportare alla mente (anche come sviluppo) l’idea che sta alla base di Inception.
Dal punto di vista tecnico invece, si sa, Stephen King non ha mai brillato per eleganza della forma e coesione narrativa, eppure la quarantennale esperienza da storyteller prima che da scrittore gli permette di accompagnarci agevolmente fino alla fine delle oltre 500 pagine.
La zampata del maestro si trova alla fine di ogni paragrafo, ed è quella mantenere viva la curiosità del lettore, nonostante ci si trovi davanti ad un’opera ben poco originale.
Doctor Sleep, nonostante il finale (dal quale ci si aspettava un po’ di più) è un’opera pessimista all’origine, perché conferma ancora una volta la consapevolezza, a tratti nichilista, di King: nessuno è innocente, nessuno si salva davvero. Il discorso vale soprattutto per l’infanzia, di cui l’autore di Portland continua ad essere mirabile cantore: nell’universo kinghiano il Male continua a nutrirsi dei sogni d’infanzia. Lo sa bene Danny Torrance, lo sappiamo bene anche noi: dopo lo spaventoso soggiorno all’Overlook, con il seguito di Shining King ci priva dell’illusione dell’esistenza di una vita ordinaria per il bimbo col triciclo.
No, King non è cambiato: è rimasto il solito formidabile artigiano della letteratura.