Mancano pochi mesi alle elezioni europee eppure, nonostante quanto assicurato sul sito ufficiale con un toccante spot pubblicitario, questa volta non sembra esserci niente di diverso dalle votazioni precedenti. L’interesse continua ad essere scarso: in Francia la prima pagina del quotidiano “Le Monde” apre con le ultime notizie dalla Siria; nel Regno Unito sia il “Times” che il “Guardian” riportano le difficoltà delle recenti alluvioni, senza contare lo specchietto dedicato a Sochi 2014; il tedesco “Der Spiegel” si concentra su un attentato terroristico in Egitto costato la vita a trenta turisti; quanto ai quotidiani italiani, con il nuovo esecutivo atteso a giorni, ultimamente hanno avuto ben altro a cui pensare.
Per quanto sia legittimo anteporre le notizie più impellenti ad un evento atteso tra più di tre mesi, è interessante notare come le elezioni trovino spazio solo quando arrivano a toccare questioni nazionali: nel Regno Unito ci si sofferma sugli attriti riguardo l’ingresso nell’UE della Scozia, in Germania si parla delle europee solo per giustificare il rifiuto di Angela Merkel di sbloccare un piano di aiuti per la Grecia.
Non che tutto ciò sia una novità: l’Unione Europea continua ad essere percepita come qualcosa di ancora estraneo ai cittadini, un organismo senza volto ridotto ad un mero “club finanziario”, per citare Oriana Fallaci. Lo dimostrerebbe un agile sondaggio per le strade di qualunque città: basterebbe chiedere ai passanti quando si terranno le prossime elezioni e scopriremmo -dati alla mano- che ben pochi sanno rispondere.
Valga una testimonianza per tutte: «in qualità di candidato al Parlamento Europeo, intervistando ed ascoltando i cittadini comuni acquisisco istanze, idee e bisogni reali delle persone» riferiva l’On. Scanderebech il 30 gennaio scorso; «nei mercati della Lombardia si incontrano persone rappresentative di differenti fasce sociali e si viene a conoscenza di differenti problematiche a seconda delle fasce di età e ci si rende anche conto di quanto i cittadini siano ben poco informati sulle opportunità che offre la Comunità europea e dei vantaggi che derivano dall’essere cittadino europeo».
A meno di cento giorni dalla chiamata alle urne, dunque, sono pochi gli italiani che già programmano di tenersi liberi dal 22 al 25 maggio. Sono pochi quelli che sanno chi votare, ancora meno quelli che sanno per cosa. Ma perché?
Il problema di fondo è quello che in letteratura viene definito deficit democratico: la funzione legislativa del Parlamento, unico organo eletto dai cittadini europei, sembra essere messa sempre più in ombra da quella del Consiglio Europeo (in virtù del bicameralismo imperfetto su cui si basa l’Unione) e dal potere esecutivo della Commissione, cui fanno capo anche le complesse procedure burocratiche comunitarie.
Il risultato è un’Unione Europea in cui riescono ad infilarsi tra le maglie del potere solo i più forti, che siano i capi di Stato o di Governo nazionali (che dunque non possono rappresentare fedelmente l’intero elettorato europeo) o i lobbisti dei gruppi economicamente più avvantaggiati. Della rappresentanza popolare, insomma, rimane ben poco.
A complicare la situazione deve aggiungersi il fatto che, per forza di cose, non può esistere una campagna elettorale che includa l’Europa intera. Per i seggi in palio si combatte di Stato in Stato, quando invece alla resa dei conti i leader vincitori siederanno all’interno di partiti che non corrispondono in toto a quelli nazionali. È successo per esempio nel 2004 quando, tra le file del Partito popolare europeo, i membri dell’allora Forza Italia e dell’Udc si sono ritrovati seduti fianco a fianco ad alcuni componenti dell’Ulivo.
Difficile dunque aspettarsi un’affluenza maggiore, quest’anno. Per come funziona l’UE, a comandare non possono che essere in pochi: cosa che i cittadini, per quanto poco informati, continuano a percepire.