Gli americani cool, una raccolta di foto degli artisti indelebili [FOTO]

Se dici Fred Astaire implicitamente dici anche Ginger Rogers, quasi i due ballerini fossero un’unica grande presenza scenica, perfettamente indivisibile e non pensabili se non l’uno accanto all’altro. Eppure uno era più cool dell’altro. Lui, Fred. Almeno stando a quanto sostenuto dai curatori della mostra fotografica “American Cool”, alla National Portrait Gallery di Washington.

Numerosi gli esclusi illustri da questa lista che potrebbe apparire alquanto arbitraria, ma gli ideatori si difendono propinandoci i risultati di cinque anni di ricerche e approfondimenti tenendo conto di alcuni criteri imprescindibili per guadagnarsi l’appellativo di “americano cool“. “Cosa intendiamo quando diciamo che qualcuno è cool? Essere cool significa emanare un’aura nuova e incontenibile. Essere cool è l’opposto di essere innocenti o virtuosi. Una persona cool ha un lato carismatico e uno più oscuro. Chi è cool si è guadagnato la propria individualità“, spiegano.

Il sassofonista Lester Young negli anni ’40 ha contribuito con il suo jazz rilassato, quasi rarefatto, cool appunto, a conferire al termine il significato che avrebbe mantenuto fino al suo evolversi nella sua accezione più moderna, oggi usata e forse abusata. Il “cool”, spiega il catalogo della mostra, è un concetto tipicamente americano, una conquista individuale di autonomia e libertà in risposta alle discriminazioni sociali subite soprattutto dai neri. Un tratto nato come espressione stilistica per poi assumere sfumature e motivazioni sovversive e alternative. Un termine sfuggente tanto per gli americani quanto per noi, che lo abbiamo fatto entrare nel nostro lessico senza la pretesa di limitarlo a un’unica traduzione.

Per rientrare nei magnifici cento all’originalità della visione artistica e uno stile inconfondibile che ne determina una forte iconicità si aggiungono la ribellione culturale in un determinato momento e un patrimonio culturale riconosciuto. Le fotografie selezionate sono state tutte scattate da alcuni dei più importanti fotografi del secolo passato, con l’obbiettivo di fare emergere il complesso rapporto tra il soggetto in quanto persona, immagine e artista.

Il percorso dell’esposizione si suddivide in epoche ed evoluzioni successive delle accezioni del termine “cool”. Dalle Radici del Cool, dove si trovano Fred Astaire, gli scrittori Ernest Hemingway e Walt Whitman, la diva per eccellenza Greta Garbo, “l’uomo che non rideva mai” Buster Keaton, alla Nascita del Cool con il ribelle James Dean, Audrey Hepburn strizzata nel suo tubino nero, Jack Kerouac, Frank Sinatra con la sua voce quasi sussurrata al microfono che apriva la strada ai tanti crooners che di lì a poco si sarebbero affacciati al panorama musicale, ed Elvis Presley, il cantante bianco con il timbro e il feeling da nero, capace di alternare l’eccitazione del giovane agitato dalla voce potente e il seduttore romantico bisbigliando nell’orecchio dell’ascoltatore.

Da Cool e Counterculture con Bob Dylan, ispirato da un altro cantautore americano presente con la sua immagine e la sua voce lucida e realistica, la voce di tutto un popolo, quello americano, che stava vivendo il dramma della grande depressione, Woody Guthrie. E ancora Clint Eastwood, la poetessa maudit del rock Patty Smith, Santana, Lou Reed, Andy Warhol, l’eclettico Frank Zappa e Jimi Hendrix fino all’Eredità Cool, con Bruce Springsteen, lo sperimentalismo di David Byrne, Steve Jobs, Madonna, Prince, Kurt Cobain, Johnny Depp e il regista Quentin Tarantino.

E gli esclusi? Citati in una lista alternativa che gli autori si riservano di ampliare con il suggerimento del pubblico. Qualche nome? Bing Crosby, Ginger Rogers, Gertrude Stein, Duchamp, Tony Bennett, Janis Joplin, Jim Morrison, Al Pacino, Nina Simone, Roy Lichtenstein, Uma Thurman. Il numero cento sembra essere davvero molto, molto piccolo.

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