Ricordando Pantani: la straordinaria doppietta Giro-Tour del ’98

Il cammino verso la leggenda è spesso lastricato di ostacoli, e la storia di Marco Pantani ne è un esempio lampante. Prima delle vittorie ai grandi giri, prima della fama mondiale arrivata con i trionfi del ’98, gli eventi avversi hanno intralciato in ogni modo l’esplosione del ragazzo di Cesenatico. Quella vittoria sulla salita dell’Aprica del ’94, scalata con la leggerezza di una farfalla e la determinazione di un lupo, e il secondo posto nella classifica finale del Giro, per un ciclista eccezionale come il pirata avrebbe dovuto essere l’inizio di una serie interminabile di vittorie.

Dopo il terzo posto al Tour de France dello stesso anno però uno tsunami di sfortune si abbatte sulla vita del campione romagnolo, che come una pianta di bambù si piega ma non si spezza mai. La bici per lui è vita, la passione per le due ruote è un fuoco che arde senza sosta e che non può essere spento dalle avversità della malasorte, che si è manifestata prima sotto forma di una Jeep che lo ha investito alla Milano-Torino del 1995 (causandogli diverse fratture agli arti inferiori) e poi con le sembianze di un gatto nero, che nella tappa Mondragone-Cava dei Tirreni del Giro del ’97 gli tagliò la strada, provocando una caduta rovinosa che gli costò il resto della competizione.

Ma quel fuoco inestinguibile dentro gli ha dato la forza di tornare in sella già al Tour dello stesso anno, e quando si inizia a salire Pantani dimostra a tutti di che pasta è fatto: scala l‘Alpe d’Huez con un tempo ancora oggi imbattuto (37 minuti e 35 secondi) e stacca l’idolo di casa Virenque e il carroarmato tedesco Ullrich.

L’anno successivo, finalmente scevro dalle sfortune, il pirata ha cancellato tutti gli anni persi ed ha spiccato il volo definitivo. Al Giro avversari forti come il campione svizzero Alez Zulle e il vincitore del Giro del ’96, il fortissimo russo Pavel Tonkov, vengono annichiliti dalla voglia di vincere di un pirata mai così determinato. Due i momenti da ricordare: l’arrivo a Selva di Val Gardena e quello a Plan di Montecampione, salite sulle quali i due avversari devono chinare il capo di fronte a un Pantani che vola verso il traguardo.

Ripetere lo stesso successo al Tour sembrava impresa impossibile a tutti (l’ultimo italiano a riuscirci fu Coppi) ma Pantani, uno che nella vita ha affrontato sfide ben più dure, mette a tacere le perplessità nei suoi confronti. Dopo le prime tappe e la cronometro di Corrèze (nella quale accusò 4’21” di ritardo) la strada è in salita, ma nel giorno della 15.a tappa accade qualcosa che nel ciclismo moderno nessuno avrebbe pensato di rivedere: Pantani scatta sul Galibier e affronta gli ultimi 50 km in solitaria, scalando Les deux Alpes a un ritmo impossibile. Ullrich crolla, la strada sembra non finire mai per lui quel giorno, e i minuti di distacco diventano 9.

Con quell’impresa quel ragazzo magro di Cesenatico con la passione della bici, figlio di due commercianti di piadine, entra nella storia insieme a gente come Coppi, Hinault, Merckx e Indurain. Sembrava il paradiso, ma era solo l’anticamera dell’inferno in cui Pantani si ritrovò nell’anno successivo…

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