Venerdì sera si sono aperte le Olimpiadi invernali di Sochi e nonostante le polemiche sui diritti sociali, i costi esagerati e il rischio terrorismo, lo spettacolo c’è stato e ha centrato in pieno l’obiettivo: stupire.
Al Fisht Olympic Stadium, migliaia di figuranti hanno dato vita ad una immensa coreografia che ha ripercorso la storia della Russia: dall’impero alla rivoluzione, dal regime sovietico ai giorni nostri. Attraverso un’efficace ricostruzione di un Paese in grado di passare di secolo in secolo dagli aristocratici ambienti dei romanzi di Tolstoj alla crudeltà dell’industrializzazione staliniana, per alcuni minuti ogni spettatore si è perso nella storia di una nazione immensamente grande e, forse, non ancora del tutto compresa.
Di certo era il minimo che il mondo si aspettava dopo le ingenti somme investite nel progetto, più di quanto sia mai stato speso per qualunque altra olimpiade. E di certo era il minimo che i russi pretendessero, soprattutto quelli di Sochi, dopo aver assistito inermi allo smembramento del proprio territorio in vista di una settimana di riflettori, consapevoli però che ad Olimpiadi concluse si sarebbe tornati nel dimenticatoio.
Una nazione che, per anni, si è contrapposta al colosso americano nella competizione per essere la migliore, non poteva non cogliere l’occasione per stupire il mondo. L’occasione è arrivata nel 2014 e si chiama Olimpiadi invernali: un evento abbastanza importante per passare sopra a tutto il resto, pur di brillare.
Dunque l’inizio dei sacrifici: Putin ha accettato di investire miliardi nel progetto e ha continuato a lottare per tenere le Olimpiadi dove stabilito, nonostante le preoccupanti minacce di terrorismo; infine, ha scavalcato le questioni sociali come quelle sui diritti degli omosessuali, scontando questa sua decisione con rimproveri più o meno velati dalle altre nazioni – è probabile che vadano spiegate così le divise degli atleti tedeschi, che hanno sfilato nei colori arcobaleno. Ma, allo stesso modo, è probabile che l’intervento delle Tatu, popolare duo di cantanti russe e presumibilmente lesbiche (loro smentiscono) sia stato inserito proprio per smentire la fama dell’intransigenza russa.
Tutto, pur di lasciare a bocca aperta il mondo. Per ora sembra esserci riuscito: difficilmente verrà dimenticata la bambina russa sospesa nel vuoto, mentre cantava la storia della sua Patria. E quando la pattinatrice Irina Rodnina e il giocatore di hockey Vladislav Tretyak hanno acceso la fiamma olimpica, è stata l’apoteosi.
Putin stesso sembra essere rimasto più che soddisfatto: immobile durante tutta la durata dell’Inno nazionale, si è infine lasciato andare ad un sorriso di trionfo.
Molti sono i russi che questo trionfo lo condividono, e molti altri ne avrebbero fatto volentieri a meno. L’impegno che Sochi si è sobbarcato non sarà facile da fronteggiare; a riflettori spenti, quando gli ospiti se ne saranno andati e le porte di casa si chiuderanno, i russi si ritroveranno a dover fare i conti di quanto è stato speso, quanto rimasto e quanto guadagnato. Per ora, i pronostici non sono affatto rosei.
Ma stiamo parlando di un Paese famoso per aver dato fuoco alle proprie città pur di sconfiggere l’avanzata napoleonica, nel 1812; un paese il cui popolo ha sofferto fisicamente pur di raggiungere il grado di industrializzazione europeo, poco più di cent’anni dopo; un Paese che, ancora oggi, mette a tacere le voci dissidenti pur di far sapere il meno possibile cosa accada all’interno dei suoi sterminati confini.
Come stupirsi allora se sarà un numero indefinito di russi a sobbarcarsi i costi di queste Olimpiadi così ben riuscite?