In Siria, nonostante tutto, si continua a combattere e morire come è avvenuto ieri ad Aleppo. Un raid dell’esercito ha causato la morte di 85 persone che risiedevano nei quartieri orientali della cittá, controllati ormai dai ribelli contrari al regime di Assad. Barili imbottiti di esplosivo e lanciati da elicotteri dell’esercito che hanno ucciso, fra i 65 civili, anche dieci bambini. Il massacro, l’agonia, lo stillicidio continuano e continueranno ancora perché di fatto a Ginevra si è concluso tutto con un “arrivederci e grazie”.
Le armi usate dall’esercito per questo ennesimo attacco sono state dichiarate da Human Rights Watch illegali e della stessa opinione sono Stati Uniti, Unione Europea e Lega Araba. Ma intanto vengono usate comunque. Già a dicembre 2013 era arrivata la condanna dell’ONU dopo le informative dell’osservatorio siriano dei diritti umani, secondo cui l’esercito siriano ne fa uso quasi quotidiano soprattutto nelle zone ribelli di Aleppo.
Fra le vittime si contano anche dieci miliziani del fronte Jabath al Nusra, la frangia legata ad al Qaeda. Si perché questo è un elemento da ricordare, continuamente. Le forze in gioco sono più di quelle recatesi a Ginevra, dove infatti non si è concluso nulla non per niente.
Il bilancio delle vittime secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani è salito a 136.000 persone. Ed è la stessa signora ministro Emma Bonino che ne parla in un editoriale uscito per La Stampa: “È la più grave crisi umanitaria dei nostri tempi, la più complessa e costosa: le Nazioni Unite hanno chiesto risorse per altri 6,5 miliardi di dollari“. Ecco perché ci si batte per il cessate il fuoco e per l’accesso immediato agli aiuti umanitari. Ma il come e il quando sono davvero imprecisabili e difficili da prevedere alla luce degli insuccessi, delle difficoltà e dei continui brutali bombardamenti da parte del regime di Assad.