“Essendo stata in passato giudicata innocente, mi aspettavo di meglio dal sistema giudiziario italiano. Contro di me un apparato accusatorio inesistente“. Queste le parole di Amanda Knox, condannata ieri a ventotto anni e sei mesi dalla Corte d’Appello di Firenze per l’omicidio di Perugia. Insieme a lei ritenuto colpevole anche Raffaele Sollecito, che dovrà scontare una condanna di venticinque anni.
La Corte aveva ravvisato un concreto pericolo di fuga per Sollecito, avendo lui stesso “evidenziato la disponibilità di supporti logistici in Paesi in relazione ai quali lo Stato italiano non risulta legato da accordi di assistenza giudiziaria“, come si legge nel dispositivo della sentenza. D’altra parte, Sollecito non era presente in aula. Aveva infatti lasciato Firenze verso le dieci di mattina, rassicurando i giornalisti con un “torno subito“; all’alba di stamattina, è stato raggiunto dai poliziotti della squadra mobile di Firenze in un albergo a Venzone, in provincia di Udine, comune della Carnia che dista circa cento chilometri da Villach – al confine con l’Austria.
“Ho fatto un giro in Austria. Poi sono rientrato in Italia. Mi sono fermato lì a riposare“, è stato tutto quello che ha dichiarato Sollecito. In ogni caso, la polizia gli ha sequestrato il passaporto e notificato il divieto di espatrio.
Per Amanda Knox, invece, non ci sarebbero rischi di fuga. La sentenza ha sottolineato che la studentessa risiede legittimamente nel suo Paese, dunque non può essere considerata come latitante almeno fino alla sentenza della Cassazione. La giovane ha seguito la sentenza di ieri dalla sua casa a Seattle, ma già domani mattina sarà a New York, dove rilascerà un’intervista a Robin Roberts durante il programma “Good Morning America“.
“Sono spaventata e rattristata da questo verdetto ingiusto“, ha dichiarato intanto Amanda con una nota. “Mi aspettavo di meglio dal sistema giudiziario italiano. La mia famiglia ed io abbiamo sofferto moltissimo per questa ingiusta persecuzione“. Amanda ha anche accusato gli inquirenti e la procura di “intransigenza e fanatismo, pregiudizio e ristrettezza mentale, mancanza di volontà nell’ammettere errori, l’affidarsi a testimoni e prove inaffidabili ed una teoria accusatoria inconsistente e non confortata da prove“.
“Mi vogliono in prigione. Ma io sarò latitante“, aveva detto Amanda prima del verdetto della Corta d’Assise d’Appello in un’intervista al New York Times. “Nulla potrà cancellare l’esperienza di essere stata ingiustamente imprigionata e per questo io non tornerò mai più in Italia“.
Amanda dunque non ha la minima intenzione di tornare e, d’altra parte, la sentenza di ieri ha chiarito che non è neanche necessario che lo faccia: fino a quando non sarà condannata in via definitiva, Amanda Knox non può essere considerata neppure come latitante. Dunque “occorrerà attendere il giudizio della Cassazione e se verrà confermata la sentenza del tribunale di Firenze, potrà essere applicata una Convenzione stipulata con gli Usa nel 1983 ed entrata in vigore l’anno successivo, che regola l’estradizione nel caso in cui la condanna superi un anno di carcere. Non solo, l’estradizione è prevista anche per tutti quei reati che sono considererai tali anche negli Usa, quindi anche il caso di Amanda Knox, fatta la sola eccezione per i reati di tipo politico e militare“, spiega a Panorama l’avvocato Stefano Toniolo, penalista dello studio legale Martinez e Novebaci.
Gli avvocati difensori comunque non desistono, forti del fatto che già nel 2011 la Corte d’Assise aveva assolto i due ragazzi “per non aver commesso il fatto“. Amanda pare essere rimasta granitica davanti all’ennesima condanna; Sollecito, secondo il suo avvocato, è rimasto annichilito. “È la prima volta che qualcuno viene condannato con prove che dicono il contrario. È comunque solo una tappa di questa vicenda” ha dichiarato il suo avvocato, Maori.
I Kercher, invece, sembrano ormai rassegnati. “Può essere – ha concluso la sorella di Meredith, Stephanie – che non sapremo mai cosa è veramente successe quella sera: ci dobbiamo mettere il cuore in pace“.