I segreti di Osage County, parenti serpenti nel midwest americano

“La vita è molto lunga”. Una benedizione per alcuni, un peso enorme da sopportare per altri, come per Beverly, il patriarca della famiglia Weston che con una voce arrochita dagli eccessi e dall’amarezza cita Eliot, raccontando la deriva della sua vita, una vita di cui non desidera più far parte. Lui, poeta incompiuto, sfoga le sue frustrazioni nella bottiglia accanto ad una moglie malata di cancro che trangugia pillole di antidolorifici e calmanti come se fossero caramelle. Con questo prologo si apre la trasposizione sullo schermo, firmata da John Wells, della piéce teatrale del Premio Pulitzer Tracy Letts, August: Osage County, in arrivo nelle sale italiane il 30 gennaio, col titolo de I segreti di Osage County.

La scomparsa del patriarca (Sam Sheperd) riporta le tre sorelle Weston, Barbara (Julia Roberts), Ivy (Julianne Nicholson), e Karen (Juliette Lewis), nella casa in cui sono cresciute, al cospetto della madre Violet (Meryl Streep), una donna cinica, aggressiva e cattiva. Questa forzata riunione di famiglia sarà tutt’altro che pacifica e porterà a galla conflitti latenti e segreti scottanti e opprimenti, come il clima soffocante che si respira d’estate tra le vaste e silenziose pianure dell’Oklahoma. In un crescendo di intensità emotiva, l’azione si propaga lentamente fino a raggiungere il climax nella scena madre della vicenda: una cena dove esploderà il rancore reciproco che serpeggia tra i membri di questa famiglia.

august osage county

Una scena forte, da brividi, in cui due mostri sacri del cinema come Meryl Streep e Julia Roberts si spalleggiano a colpi di battute al vetriolo, insulti e mosse più adatte a un ring di wrestling. Entrambe sono candidate a un Oscar, e non poteva che essere altrimenti. Sul loro esasperato dualismo si gioca tutto il baricentro del film. Madre e figlia sono come i due risvolti della stessa medaglia. Due donne diverse, eppure tanto simili, che si confrontano con gli stessi dolori: il tradimento dei loro uomini e il risentimento verso la propria madre. Divina come sempre, la Streep ci regala qui l’ennesima masterclass di recitazione indossando i panni di una madre tutt’altro che amorevole. La sua “Vi” è una donna ingestibile, inacidita dai farmaci e dalla vita. Una donna che alterna momenti (pochi) di tenerezza a momenti in cui si trasforma in una spietata carnefice sputando veleno su coloro che la circondano, e che per ironia della sorte è affetta da cancro alla bocca, ma niente di così maligno come le parole che riversa sui suoi cari; la Roberts, dal canto suo, torna finalmente alla ribalta, dopo alcune sbiadite performance, in uno dei ruoli forse più belli della sua carriera. Barbara è una donna che si è allontanata da casa per paura di diventare come sua madre, ma la corazza che si è costruita l’ha inaridita nei sentimenti, allontanandola dal marito (Ewan McGregor) e da una figlia adolescente (Abigail Breslin) piena di problemi. Tra questi due colossi, un nutrito gruppo di comprimari che riescono, anche con poche battute, ad essere incisivi. E’ il caso di Benedict Cumberbatch (lo Sherlock della tv), il disadattato cugino ‘Little Charles’, un buono, succube di una madre che lo umilia in continuazione, lontano da quella mostruosità che coinvolge il resto della sua famiglia.

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Definito come una black comedy, il film diretto da Wells (alla seconda regia dopo The Company Men, del 2010) è un raffinato concentrato di humor nero sorretto dalle interpretazioni magistrali di un cast al servizio di una storia che mescola abilmente dramma e leggerezza. Due ore di brillanti battibecchi familiari, al limite del politically correct, puntellano questo ritratto cinico e impietoso di una famiglia sul baratro dell’autodistruzione, alle prese con dipendenza da farmaci, alcolismo, suicidio, infedeltà, incesto, e, soprattutto un innato talento per la crudeltà. Una famiglia dove i legami di sangue, anziché unire, dividono, un insieme di estranei che solo “una selezione casuale di cellule” ha reso parenti. Ma cosa c’è di così particolare da raccontare di questa famiglia? È questa la domanda a cui Wells non riesce pienamente a rispondere, suggerendo solo en passant come alla lunga i figli tendono a percorrere le stesse orme dei genitori, a ricadere negli stessi errori. I segreti di Osage County resta così solo un timido tentativo di portare in scena il dramma dello scontro generazionale tra genitori e figli, con un finale ambiguo e privo di phatos che lascia l’amaro in bocca.

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