Ieri mattina all’isola del Giglio un’insolita delegazione ha fatto visita al relitto emerso della Costa Concordia: periti del tribunale, magistrati, avvocati e consulenti abbandonate toghe, giacche e cravatte hanno ispezionato dall’interno la nave, che il 16 settembre era stata riportata a galla, almeno in parte. Un totale di 40 persone sul relitto. Il sopralluogo non era obbligatorio, né così necessario ai fini delle indagini, quanto piuttosto doveroso nei confronti delle 32 vittime di quella notte del 13 gennaio 2012, e un ulteriore conferma di quanto è già in mano alle parti.
Finora tutto l’impianto dell’accusa e della difesa si è basato su documenti, ricostruzioni virtuali, registrazioni audio ma come ha spiegato il procuratore capo della Repubblica di Grosseto, Francesco Verusio: “Non credo che le attività peritali che compiremo oggi potranno portare elementi nuovi di conoscenza rispetto a ciò che già sapevamo. Comunque è bene fare anche questa verifica in loco”. Le condizioni di sicurezza permettevano il sopralluogo e così la decisione è arrivata. Si perché tutto può essere d’aiuto nella ricostruzione di quanto avvenuto e soprattutto di quanto non avvenuto, a partire dall’accertamento delle responsabilità dell’ex comandante Francesco Schettino.
Nonostante le parole lapidarie di Verusio: “Il mare ha mangiato tutto“, qualcosa è stato prelevato dalla consolle delle strumentazioni della plancia di comando cioè il ‘track pilot‘, l’apparato che registra le posizioni della nave. Non si tratta che del pilota automatico ma come è facile intuire, non versa in buone condizioni, ossidato dall’acqua marina. Nonostante i dubbi circa le memorie contenute nell’hard disk tutto è stato prelevato. Gli avvocati di parte civile hanno anche fatto sapere che durante il sopralluogo sono stati portati via alcuni computer sempre dalla plancia di comando.
“Durante i lavori però sono state rimosse delle cose che non fanno più ricondurre la condizione della plancia a quella iniziale. […] Non c’è la leva sul ponte di comando che consente di commutare l’allarme, da allarme fuoco a allarme falla” ha dichiarato Domenico Pepe, l’avvocato di Schettino. Ma i toni cambiano quando sempre l’avvocato Pepe afferma: “I lavori forse sono stati effettuati da chi non aveva interesse a fare alcuni accertamenti, i lavori dovevano essere fatti ma ora non più nulla di riconducibile alle reali condizioni del momento dell’affondamento“. Ma cosa insinua l’avvocato? Che la direzione dei lavori è stata un po’ come dire a dei bambini di pulire la cristalleria rimettendo a posto il tutto senza far cadere nulla?
Poco chiara la “polemica” dell’avvocato. Fatto sta che il processo continua e di sicuro la linea dei riscontri incrociati fornirà una panoramica più chiara. C’è da essere positivi perché in tutta questa faccenda sono saltati fuori diversi particolari che hanno fatto la differenza.