A Maggio 2013 studenti, professori e soprattutto ricercatori avevano gioito del comunicato che aggiornava sulla cancellazione dei tagli previsti per il 2015 a scuola, università e ricerca deciso dal presidente del Consiglio.
Buone notizie quindi, almeno così si supponeva.
Il lancio di agenzia della decisione del governo è stato questo:
“Scuola, università, ricerca e Expo: sono queste le voci ‘salvate’ dai tagli lineari ai ministeri, che potrebbero scattare dal 2015 per oltre 570 mln all’anno, con un emendamento dei relatori al dl sui debiti della P.a. approvato in commissione Bilancio alla Camera.”
In sostanza i fondi non sarebbero aumentati, ma non sarebbero stati nemmeno colpiti dalle riduzioni approvate per finanziare il decreto sui rimborsi alle aziende.
Repubblica scrisse in occasione della decisione che questa modifica ha evitato un vero e proprio salasso: il decreto prevedeva infatti 75 milioni in meno alla scuola fra il 2014 e il 2015, 47 milioni di tagli all’università, 13 milioni di tagli alla ricerca. Fondi che invece sarebbero rimasti dov’erano.
O forse no. Infatti i finanziamenti per la ricerca di base non ci sono più.
Nonostante difficoltà e malfunzionamenti burocratici vari, fino ad ora un minimo era sempre garantito, essendo “un programma nazionale d’investimento nelle ricerche liberamente proposte in tutte le discipline da università ed enti pubblici di ricerca, valutate mediante procedure diffuse e condivise nelle comunità disciplinari internazionalmente interessate”.
Fino al 2005 erano 130 i milioni erogati, ridimensionati a 90 negli anni successivi fino al 2012 con 38 milioni all’anno.
I fondi di stato sono ridotti all’osso e le attribuzioni si trasformano quindi in furibonde dispute, come quelle che si susseguono da mesi.
I budget sono al momento nulli, tanto da far prevedere che bandi per la ricerca di base non verranno nemmeno riproposti.
Tutto ciò è chiaramente catastrofico; i suddetti bandi rappresentano un surplus per progetti specifici tanto da diventare un’ancora di salvezza per moltissimi ricercatori per poter portare avanti la propria attività produttiva, se si procedesse davvero in questo modo si minerebbe così il loro posto di lavoro, aumentando di conseguenza il numero di disoccupati e limitando ancora di più le prospettive delle future generazioni, quei giovani studenti che sperano di laurearsi per incanalare i loro sforzi nella ricerca scientifica.
Il disegno sta diventando via via più chiaro finendo per limitare la ricerca a quei pochi canali preferenziali definiti dal governo.
Cosa succederà quindi a progetti come il CERN o ai satelliti che necessitano di finanziamenti di considerevole dimensione e che rappresentano non solo centri di eccellenza ma anche di introiti alle imprese?
Per sovvenzionare tutti questi progetti si dovrà lavorare per decidere un piano d’azione efficace:
Cosa sarà meglio quindi: contribuire a una ristretta élite o sovvenzionare un maggior numero di ricercatori?
Quesito difficile, e le risposte non sempre sono state negative: sono stati molti, infatti, i paesi che in questi anni di crisi economica hanno rivalutato la ricerca e incanalato molti degli sforzi su di essa ritenendola una strategia vincente, come Germania o Stati Uniti, permettendo a studenti e ricercatori di raggiungere risultati rilevanti nell’esplorazione di nuove idee. Perchè la ripresa passa anche, e soprattutto, da qui.