Il copione ricorda quasi il caso Ligresti: un detenuto in gravi condizioni di salute, una madre preoccupata per il proprio figlio malato, il ricorso alle istituzioni.
Ma stavolta la richiesta è arrivata al presidente della Repubblica, ovvero l’unico con l’autorità necessaria per concedere una grazia. È pervenuta tramite richiesta formale, non con una chiamata al cellulare personale di quest’ultimo e Vincenzo Di Sarno è malato terminale, affetto da un tumore al midollo osseo.
“Sono allo stremo delle forze, sia fisiche che mentali“, ha scritto Di Sarno il 28 ottobre 2013 in una lettera destinata a Giorgio Napolitano. “Se potessi, sceglierei la pena di morte: intramuscolo/endovena, oppure [di] essere inviato in qualche clinica svizzera ad effettuare l’eutanasia. Egregio Signor Presidente: mi indichi lei quale di queste due strade debbo intraprendere. Nell’attesa di un benevolo accoglimento, le porgo i miei più doverosi ossequi“.
A quel tempo, Di Sarno era detenuto nel padiglione “Avellino” del carcere di Poggioreale. Un luogo non attrezzato ad evenienze come la sua e in cui le condizioni di vita venivano descritte nella lettera come disumane.
Dal Quirinale nessuna risposta, ma le ragioni erano più che altro burocratiche: la domanda di grazia era stata inoltrata il 12 settembre, quando al condanna del 34enne non era ancora definitiva. Eppure, nello stesso mese Napolitano aveva assicurato, durante una visita al carcere in cui Di Sarno era detenuto, che avrebbero fatto qualcosa per lui.
È quanto riporta Adriana Tocco, garante dei detenuti della Campania. Dopo un mese vi sarebbe stata la seconda richiesta di grazia; a quel punto, dopo la condanna in appello, il Presidente ha potuto far partire la richiesta di istruttoria al ministero della Giustizia.
Nel frattempo, con l’aggravarsi delle condizioni di salute, Di Sarno fu trasferito al padiglione “San Paolo”, non meglio attrezzato del precedente ma più agevole. Proprio da lì è partita la missiva per il Presidente della Repubblica.
Per tutto questo tempo Maria Cacace, la madre di Vincenzo, ha portato avanti la causa del figlio: “non ce la fa più a vivere in queste condizioni“, racconta. “Era un ragazzone da 115 kg, adesso ne pesa solo 53. Le cure di cui ha bisogno non gli possono essere praticate in carcere. Vincenzo non può restare in carcere, ha bisogno continuamente di cure“.
Da carnefice a vittima, sembrerebbe. Eppure, Di Sarno è dentro da quattro anni per un motivo preciso: uccise un cittadino extracomunitario in seguito ad una lite scoppiata presso piazza Garibaldi, a Napoli, mentre aspettava un pullman che lo avrebbe portato nel Vesuviano. La condanna in secondo grado è di 16 anni.
Ma quanto ha senso negare la grazia ad un malato terminale? Se anche il carcere fosse una punizione, non sarebbe comunque molto più lieve di quella impostagli dalla malattia che l’ha colpito?
Di Sarno ha subito già due interventi chirurgici alla testa e alla colonna vertebrale, entrambi conclusi con esito negativo. “Non sta più mangiando“, continua la madre, “sono molto preoccupata per la sua sorte perché non so se stia rifiutando il cibo per protesta o se, come temo, per l’inappetenza determinata dalla malattia. Bisogna fare presto, altrimenti morirà“. Eppure, nella sua lettera, Di Sarno è stato chiaro: meglio la pena capitale piuttosto che morire in carcere per un tumore. Segno dunque che non è dalla giustizia che vuole sfuggire, quanto da una morte indecente.
Così ieri è stata pubblicata una nota dal Quirinale: “pur consapevole che il reato commesso dal detenuto in questione è stato fonte in altri di dolore che merita rispetto e considerazione, il Presidente Napolitano si augura che sia l’esame della richiesta di sospensione dell’esecuzione della pena sia la procedura per la grazia siano condotte in tempi commisurati alla gravità delle condizioni di salute di Vincenzo Di Sarno“.
“Spero che questa situazione si risolva quanto prima” è il commento della madre, dopo aver espresso gratitudine al Presidente Napolitano, “perché mio figlio sta male, ha bisogno di essere spostato subito in ospedale e cominciare a curarsi. Ringrazio ancora tutti quelli che mi sono stati vicino“.