Nella speranza di ridare voce a un dibattito da troppo tempo sopito, Vasco Rossi ha donato i diritti di una sua canzone per sostenere l’associazione Luca Coscioni, che si occupa della battaglia legale per la promozione del diritto alla “dolce morte”.
Non è un argomento semplice. Ma forse quando si parla di eutanasia non si dovrebbe trattare neanche di scegliere, se stare di qua o di là, con i sì o con i no. Qui non si tratta di diritto alla vita, ma di diritto alla morte. Il dibattito in Italia si aprì la prima volta con il caso Welby, o meglio con la scelta di Piergiorgio, perché usare il termine “caso” quando si parla di eutanasia sembra quasi voler sottintendere il fatto che si tratti di una notizia di cronaca come le altre, da tenere sotto la lente di ingrandimento finché genera rumore, per poi essere velocemente dimenticata.
Piergiorgio Welby era malato di distrofia muscolare progressiva e quando la sua situazione si aggravò gli venne praticata, contro la sua volontà, una tracheotomia per permettergli di vivere, anche se attaccato a un respiratore. Piergiorgio raccontò la sua storia in un blog chiedendo alla fine di poter morire, per mano di un altro che staccasse quel respiratore, poiché lui stesso non poteva farlo. Dopo mesi di polemiche e di ricorsi in tribunale, a dicembre del 2006 il medico anestesista eseguì la procedura e lasciò morire Welby. Il dottore, inizialmente accusato di omicidio di consenziente, venne poi scagionato da ogni accusa, poiché il paziente rifiutava semplicemente un trattamento a cui era stato sottoposto, diritto sancito dalla Costituzione italiana.
E così il capitolo eutanasia in Italia si chiuse una prima volta.
Passarono pochi anni ed una storia un po’ differente per modalità della decisione tornò a riempire le pagine dei quotidiani nazionali. Era la storia di Eluana Englaro, una giovane rimasta in stato vegetativo persistente in seguito a un incidente automobilistico. Non essendoci alcuna possibilità di ripresa, il padre di Eluana, Beppino Englaro, cercò di ottenere il rispetto delle sue volontà, dato che la ragazza non avrebbe mai voluto continuare a vivere in quel modo. Lo aveva espresso chiaramente in una situazione analoga riguardante un suo amico. Englaro chiedeva ai giudici di sospendere l’idratazione e l’alimentazione artificiale della figlia. Dopo la ricostruzione delle volontà della ragazza e la verifica della non reversibilità della sua condizione, la Corte d’Appello di Milano nel luglio 2008 acconsentì alla procedura. Ma solo a febbraio del 2009, non senza dure polemiche, a Eluana Englaro furono sospese le cure.
E anche stavolta le polemiche si risolsero senza lasciare traccia in una legge o in un dibattito politico concreto e fattivo.
Oggi arriva Vasco a ricordare al Paese che anche di questo si dovrebbe discutere: a sostegno della proposta di legge promossa dall’Associazione Luca Coscioni e depositata in Parlamento per legalizzare l’eutanasia e il testamento biologico, il cantautore ha donato i diritti di utilizzo di una delle sue canzoni più importanti, per rappresentare il punto di vista di un malato, costretto nel suo letto dopo una vita intensa di ricordi. L’anziano protagonista dello spot, accudito a casa dai suoi cari, si trova in una condizione di malattia irreversibile e vorrebbe “stare spento”, proprio come nel testo della canzone “Vivere”. Deve però rassegnarsi, perché nella sua immobilità, mentre la vita continua a scorrere normale intorno a lui, può solo di spegnere la radio.
Un tema così delicato, al tempo stesso spaventoso e pieno di compassione e pietà umana, dovrebbe essere al centro di un dibattito informato e attento, anche perché i cosiddetti “casi”, quelli di Piergiorgio e di Eluana, quelli che fanno notizia insomma, sono solo la punta dell’iceberg. Per praticare l’eutanasia si va all’estero, infatti, per lo più in Svizzera, e far finta di niente è un po’ come nascondere la polvere sotto il tappeto. Tanti film e tanta letteratura hanno aperto gli occhi del mondo intero su questo argomento: indimenticabile Million dollar baby.
E anche se Vasco è stato attaccato più volte dalla Chiesa proprio per questa presa di posizione su un argomento tanto scomodo, come si diceva qui non si tratta di scegliere. Non possono esserci buoni o cattivi, scelte giuste o sbagliate, anche se al dolore si sostituisce altro dolore.
A guardarla con distacco, fa davvero tenerezza questa condizione umana in cui c’è chi insegue la vita per i propri figli, come quei genitori aggrappati all’ultima speranza di un metodo Stamina così ambiguo e discusso, e chi invece è costretto ad inseguire la morte. Siamo fragili e non abbiamo nessuna verità in tasca, “vivere è come un comandamento, vivere o sopravvivere, senza perdersi d’animo mai e combattere e lottare contro tutto contro”.