Dopo diversi tentennamenti, il sindaco dell’Aquila Massimo Cialente ha rassegnato le sue dimissioni.
A quanto pare, però, la decisione poco ha a che fare con l’inchiesta “Do ut Des”, che ha visto coinvolti il vice sindaco dell’Aquila ed altri membri della giunta nel giro di tangenti sul puntellamento post-sisma: davanti all’indignazione dei cittadini, infatti, il sindaco si è detto “tradito” dai membri della giunta che lui stesso aveva nominato; quando però le condanne sono arrivate anche dal governo centrale, e precisamente dal ministro per la Coesione territoriale Trigilia, la faccenda sembra essere diventata più una questione di orgoglio e dignità. Le parole di Trigilia, infatti, hanno “definitivamente delegittimato” l’operato del sindaco, secondo quanto affermato dallo stesso.
“Il Comune dell’Aquila, il sindaco dell’Aquila, continuano a ritenere l’impegno del governo insufficiente” era stata infatti la dura accusa di Trigilia, giovedì scorso. “C’è davvero poca sintonia con loro. Sono critiche ingenerose. La ricostruzione non si è mai interrotta per mancanza di risorse, il rubinetto non è mai rimasto chiuso“. Un critica all’operato di Cialente, insomma, ma anche la goccia che ha fatto traboccare il vaso all’interno del clima di ostilità venutosi a creare tra la città ed il governo.
Già nella primavera scorsa, Cialente aveva rispedito al presidente della Repubblica la propria fascia tricolore e fatto ammainare le bandiere nazionali da tutti gli uffici comunali: l’intenzione era quella di farsi sentire ed ottenere lo sblocco dei fondi previsti per la ricostruzione dell’Aquila, ma a Roma il gesto non è piaciuto: “ho pagato il fatto di aver rimosso le bandiere tricolori dalle sedi comunali e di aver riconsegnato la fascia tricolore”, ha affermato il sindaco annunciando le proprie dimissioni.
Da una parte, i sostenitori dell’ormai ex primo cittadino continuano a lasciare messaggi di incoraggiamento; dall’altra invece c’è una forte opposizione interna, in cui tutti sono d’accordo su una cosa sola: le dimissioni di Cialente erano dovute e necessarie.
Dovute, perché un sindaco non può permettersi di annoverare corrotti tra la sua giunta. Negli ultimi giorni, il ritornello è stato sempre lo stesso: se il sindaco sapeva era complice, se non sapeva era inadeguato.
Necessarie, perché la responsabilità dei fondi elargiti dallo stato ricadeva su di lui, coinvolto o meno: con quale credibilità ora una città può pretendere sempre più fondi, dopo aver smascherato giri di tangenti come quelli rivelati dalle ultime indagini?
Per questo tra i cittadini serpeggiano rabbia e delusione. Stavolta i corrotti stessi sono aquilani. L’indignazione scaturisce dalla vergogna di essersi visti di nuovo in prima pagina su quotidiani e telegiornali nazionali, ma dalla parte del torto: Placidi, Tancredi e Riga erano interni alle istituzioni aquilane, ma anche loro hanno anteposto i propri interessi a quelli della città.
Stavolta a sfregarsi le mani davanti ad una tragedia come quella del terremoto non era Francesco Pisciatelli, il campano che ha scatenato la rabbia con l’intercettazione in cui, sogghignando, affermava “io ridevo stanotte alle tre e mezza“.
E non sono neanche le finte lacrime del prefetto Giovanna Iurato, arrivata dalla Sicilia e smascherata nel 2012 a piangere lacrime finte davanti alla casa dello Studente (8 vittime la notte del sei aprile): “mio padre, quello che mi dà sempre i consigli più mirati, dice: ‘appena metti piede in città, subito con una corona di fiori vai a rendere omaggio ai ragazzi della Casa dello studente’. E allora sono arrivata là, mi pigliai, mi caricai questa corona, la portai fino a…”
“Ti mettesti a piangere, sicuramente!”
“… mi misi a piangere“.
“Ovviamente, non avevo dubbi“. L’interlocutore è Franco Gratteri, all’epoca capo dell’anticrimine ma dimessosi in seguito ai fatti della scuola Diaz di Genova.
Dopo tali comportamenti, l’Italia è stata dalla parte degli aquilani a maggior ragione. La stessa Italia che ha dovuto far rientrare miliardi di euro nella legge di stabilità per garantire la ricostruzione di un capoluogo di regione raso al suolo.
Ed ecco allora che, seppure a singhiozzo, seppure centellinati, i fondi sono cominciati ad arrivare. “Dal 2009 a oggi sono stati spesi 12 miliardi di euro“, fa sapere Trigilia nel suo piccolo j’accuse contro Cialente, aggiungendo che “tutte le stime vanno prese con cautela. Possiamo immaginare che servano almeno altri 6-8 anni, per una spesa di 1 miliardo, 1 miliardo e mezzo ogni anno“, ma senza potersi esimere dal commentare riguardo l’inchiesta “Do ut Des” che “se le ipotesi investigative fossero confermate, questa vicenda sarebbe davvero deplorevole“.
Gli aquilani però non ci stanno a passare per corrotti solo a causa di una minoranza, sebbene sia la minoranza che conta. Perché a L’Aquila i fondi sono ancora necessari e la cittadinanza non può permettersi di continuare a vivere tra impalcature, puntellamenti e polvere che si va accumulando sulle macerie delle case ancora inagibili.
Ad oggi, sono 11.923 le persone nel progetto C.A.S.E, gli alloggi costruiti nei mesi immediatamente successivi al sisma; alloggi riguardo cui si mischiano pro e contro, ma di sicuro programmati per essere abitati provvisoriamente. 2.482 Persone dimorano nei Map, 365 negli appartamenti del Fondo immobiliare. In 346 vivono in affitto concordato e 4.861 persone percepiscono il contributo di autonoma sistemazione: stili di vita sopportabili con un po’ di spirito di adattamento, ma sempre più asfissianti man mano che i tempi si prolungano di anno in anno con i vari tira e molla tra città e governo.
Non solo: per quanto in periferia la maggior parte delle abitazioni siano state completate o in fieri, al posto del centro storico dell’Aquila c’è un buco: un enorme cratere da paesaggio post bellico. Se l’asse centrale (il Corso Vittorio Emanuele) si presenta per lo meno bardato dai teloni di una manciata di cantieri, il resto del centro storico è un dedalo di viuzze non più battute da tempo, puntellate da legno sempre più marcio e su cui si aprono portoni di antichi palazzi spalancati alla mercé di chiunque volesse entrarvi, cosa che succede non di rado. Paradossalmente, sono più liberi di scorrazzare nelle case inagibili i ladri piuttosto che i legittimi proprietari e questo nonostante i diversi presidi militari, ancora presenti lungo un paio degli snodi principali del centro.
Gli aquilani sono stanchi di aspettare: si può tirare avanti un anno, due, tre. Ma ad aprile ricorreranno cinque anni dal terremoto e, invece di fare passi avanti nella ricostruzione, a quanto pare si è solo retrocessi quanto a credibilità. Come si può pretendere di ottenere aiuto, quando sempre più indizi portano a dimostrare di non meritarlo?
Ed ecco allora che i cittadini, oltre ad essere stanchi, sono anche infuriati. E lo sono con gli aquilani stessi. Perché, dopotutto, nessuno è realmente scandalizzato dall’inchiesta appena emersa: tutti sapevano che ne avrebbe approfittato chiunque si fosse trovato nella posizione di poterlo fare. Per tutto dicembre la redazione del giornale locale on-line NewsTown ha pubblicato inchieste su presunti traffici illeciti, risalenti al 2010, incentrati sull’assessore alle Opere pubbliche del Comune dell’Aquila Ermanno Lisi. “Abbiamo avuto il culo che, in questo frangente, con tutte ‘ste opere che ci stanno… tu ci sta’ pure in mezzo… allora, farsele scappà mo è da fessi“: è solo uno stralcio della prima inchiesta. Lisi ha rassegnato le proprie dimissioni nell’aprile 2012, dopo esser stato raggiunto da un avviso di garanzia.
Ieri sera, l’assemblea cittadina ed altri quattro gruppi consiliari hanno organizzato un incontro rivolto a tutta la cittadinanza, lanciato con lo slogan “#Dimettiamoli“: un tavolo di confronto che si è trasformato, con gli interventi dei singoli pratecipanti, in uno sfogo contro lo sciacallaggio tra concittadini. Lì, la notizia delle dimissioni del sindaco è stata accolta con un applauso.
Le dimissioni dovranno essere ratificate entro 20 giorni; di lì in poi, alle questioni di ordinaria amministrazione provvederà il commissario prefettizio. Resta però la preoccupazione su cosa avverrà fino alle prossime elezioni, previste per maggio.
[Foto credits: Giovanni Farello]