Esattamente quindici anni fa, l’11 gennaio 1999 ci ha lasciati Fabrizio De Andrè. Tanti gli appellativi per definirlo: voce narrante, artista, cantautore, narratore di storie, cantore. Ci ha pensato Fernanda Pivano a trovare la parola giusta, poeta. E come tutti i grandi poeti che si rispettino, le sue parole resistono al passare del tempo, appassionando chi lo seguiva all’epoca e chi lo ha conosciuto da poco.
De Andrè nei suoi quasi quarant’anni di carriera ha inciso tredici album e varie antologie raccontando storie d’amore e di guerra, di emarginati, di prostitute. Da Bocca di Rosa a La Guerra di Piero alla suggestiva La canzone dell’amore perduto a Via del Campo: tutte le sue canzoni meritano di essere riascoltate e rilette. Non ha mai dimenticato la sua terra, la Liguria, facendo conoscere il dialetto genovese attraverso la sua musica.
È stato un artista all’avanguardia, sempre alla ricerca di nuove sperimentazioni. Così negli anni ’70 ha iniziato ad esplorare anche la musica oltreconfine con le traduzioni di testi Leonard Cohen, Bob Dylan, George Brassenes. Poi fu la volta della collaborazione con De Gregori e con la Premiata Forneria Marconi, ancora oggi tra i migliori interpreti di De Andrè.
Per ricordare De Andrè tante iniziative in tutta Italia in questi giorni. Anche il Festival di Sanremo darà il suo contributo attraverso un personale omaggio nella serata del venerdì.
Fabio Fazio, grande amico ed estimatore di De Andrè, ha sempre riservato particolare attenzione alla sua musica, convinto che la canzone d’autore non vada affatto dimenticata.
Una poetica, quella di De Andrè, in grado di non fermarsi alle apparenze ma di scardinare qualsiasi reticenza e resistenza dell’animo umano.