Il Job Act in Italia ha diviso, in Europa ha convinto. Matteo Renzi continua a scoprire le proprie carte a cadenza quasi giornaliera, e intanto incassa la calendarizzazione della discussione sulla Legge elettorale.
Come la goccia che scava la roccia, il segretario Democrat continua nella sua opera – al momento inarrestabile – per far mancare il terreno sotto i piedi del governo ed andare quindi ad elezioni anticipate a maggio, in concomitanza con le Europee. Ed il bello, o il brutto a seconda dei punti di vista, è che continua a mantenere un’aurea pulita, visto che dallo stesso Esecutivo gli stanno dando una grossa mano. Nell’ordine, pasticcio sul decreto Salva Roma, Legge di stabilità con percorso accidentato, richiesta – frettolosamente ritirata – agli insegnanti e al personale non docente di restituzione dei soldi, 150 euro circa, per lo scatto di anzianità maturato nello scorso anno. Insomma, una produzione in serie di errori e fraintendimenti che stanno minando, essi stessi, la tenuta del governo.
Il segretario Renzi si aspettava una mano, nella sua opera sottotraccia per la crisi di governo, dalle due maggiori opposizioni: Forza Italia e Movimento 5 Stelle. Ed effettivamente, l’asse è più che aperto, soprattutto in materia di Legge elettorale. Ma mai probabilmente, si sarebbe atteso un lavoro così ben fatto all’interno dell’Esecutivo. Quasi presi da una improvvisa voglia di fare, Letta e la sua squadra si potrebbero definire dei “produttori seriali di errori”, alcuni grossolani come quello relativo agli insegnanti. E Matteo il giovane, ci ha preso gusto. E continua a sfornare, quasi giornalmente, cinguettii e post su Facebook per intestarsi i precipitosi dietrofront governativi.
Non solo, rilancia, rintuzzando l’accusa piovutagli addosso dall’ex viceministro, Stefano Fassina, sulla gestione padronale del Pd. Riesce poi a far calendarizzare entro fine mese, l’inizio della discussione in Commissione per la riforma della Legge elettorale. Argomento che da solo, sta facendo tremare tutti, governo compreso. Infine, rende pubblico il Job Act, chiedendo ai follower e agli amici di Facebook opinioni, critiche, commenti e suggerimenti. Insomma, continua a presentarsi come uno di loro e non come un politico da Palazzo. Tanto è vero che nel ritaglio di tempo ha anche ufficializzato al suo partito, la volontà di concorrere per il “bis” a Palazzo Vecchio. Il ruolo di sindaco è percepito, nell’immaginario collettivo, non tanto come incarico politico quanto piuttosto come una sorta di primus inter pares.
La ciliegina sulla torta, in questi giorni di febbrile attività, gli è venuta direttamente dall’Europa. Ad oggi, il tallone di Achille di Renzi, visto che fuori dai confini italiani ancora non è molto conosciuto e, quindi, potrebbe essere visto come una mina vagante. Invece, il primo passo ed il più convinto “si” alla sua proposta di riforma in tema di lavoro è giunta proprio dall’Unione Europea con il commento del Commissario europeo al lavoro, Laszlo Andor. “Le proposte contenute nel Job Act promosso dal segretario del Pd Matteo Renzi, anche se non ancora definitive, rappresentano un nuovo programma e sembrano andare nella direzione auspicata dall’Ue in questi anni”, le parole di Andor. Secondo quest’ultimo, infatti, occorre “rendere il mercato del lavoro più dinamico ed inclusivo, affrontando i temi delicati della disoccupazione giovanile e dell’occupazione delle donne”. Tanto è vero che ad incidere maggiormente sulla situazione italiana sono “l’eccessiva segmentazione del mercato del lavoro, il gap generazionale tra le persone colpite dalla disoccupazione”. Quindi Andor ribadisce come il Job Act “stia andando nella direzione sostenuta dall’Ue nell’ultimo periodo”, anche se “aspettiamo i dettagli”. Forse è prematuro per parlare di “benedizione” europea, ma sicuramente è un’apertura di credito da non lasciarsi sfuggire. Soprattutto visto che in Italia i commenti non sono così positivi tranne che – ancora una volta un paradosso – da Forza Italia.
Secondo il segretario della Cisl, Raffaele Bonanni, “ne dobbiamo discutere ma siamo tendenzialmente favorevoli. La flessibilità va bene a patto che venga pagata di più” e piace l’idea “di dare forza a un solo contratto ed eliminare quei contratti civetta che servono solo per pagare meno le persone, specie giovani”. La numero uno della Cgil, Susanna Camusso, invece, è più cauta con un “avremmo sperato in una maggior ambizione, a partire ad esempio dalla creazione del lavoro o dalle risorse, penso alla patrimoniale, ma è già importante che il tema del lavoro sia tornato al centro. Che si dica esplicitamente che bisogna ridurre le forme del lavoro è una novità assolutamente inaspettata: fino ad oggi lo dicevamo solo noi”.
I commenti più gelidi sono giunti dai componenti del governo e dagli alleati, e questo qualcosa vorrà pur dire. Ad esempio, il capogruppo dei senatori del Ncd, Renato Schifani parla di “un libro degli intenti. Le riforme sono belle, ma hanno bisogno di coperture finanziarie per essere attuata, comporta degli oneri di copertura non indifferenti e poi anche tempi di attuazione lunghi. Questa è una legislatura che nella primavera del 2015, per consenso di molti partiti, non solo quelli di opposizione dovrebbe avere termine. Il Nuovo Centrodestra rimane dell’idea che sia necessaria una maggiore flessibilità del mercato del lavoro, che consenta un decentramento della contrattazione territoriale”.
Stesse motivazioni addotte dal ministro del Lavoro, Enrico Giovannini. “La proposta di Renzi sulla natura dei contratti e le tutele ad essi collegati non è nuova, ma va dettagliata meglio. C’è poi da dire che molte delle proposte presentate in questa lista prevedono investimenti consistenti. Noi adesso abbiamo ogni trimestre circa 400 mila assunzioni a tempo indeterminato e circa 1 milione e 6 a tempo determinato. Allora riuscire a trasformare contratti precari in contratti di più lunga durata è un obiettivo assolutamente condivisibile, che però in un momento di grande incertezza come questo molte imprese siano disponibili ad andare in questa direzione è un fatto fa verificare”.