Il 5 giugno scorso, Edward Snowden, un giovane ex agente della CIA, diede il via ad uno dei più grandi scandali politici e mediatici degli ultimi tempi: il caso Datagate.
Il giovane rivelò tutta una serie di sistemi di controllo dati, informatici e telefonici, utilizzati dal governo americano per controllare i propri cittadini e anche quelli oltre il confine USA.
Lo scandalo coinvolse grandi società informatiche come Microsoft, Facebook e Google, accusate di vendere alla NSA (National security Agency) foto, video, mail, trasferimenti file e comunicazioni di un gran numero di loro utenti. Inizialmente le aziende leader nel settore negarono di aver avuto contatti con la NSA ma, in seguito, ammisero di aver consegnato, “quando le richieste erano formulate nei modi consentiti dalla legge”, i dati richiesti.
Non è ben chiaro, in termini giudiziari, come siano state chiamate a rispondere le società informatiche, perchè dopo qualche mese dallo scandalo tutto sembra essere finito nel dimenticatoio. Il “Grande Fratello“, come da più parti era stato definito lo scandalo, sembrava essere sparito.
Ad agosto scorso però, “l’occhio che tutto osserva” colpisce ancora. Google lancia Google Location History, una nuova applicazione che permette di risalire, con “inquietante” precisione, alla posizione specifica dell’utente che è collegato al proprio Account Google o che, semplicemente, sta utilizzando un dispositivo Android.
Certamente tutti sanno che il sistema di localizzazione di Google è un servizio opzionale che si è liberissimi di scegliere di attivare o meno sul proprio device. Google Location History, però, appare incredibilmente preciso nel rintracciare la posizione del dispositivo: l’applicazione, infatti, salva milioni e milioni di dati in una sorta di archivio e li rappresenta, nel momento richiesto, sulle apposite mappe.
Se volete sapere dove eravate il 15 settembre 2013, basta digitare la data sul calendario dell’App ed ecco che sulla mappa di fronte a voi apparirà esattamente il luogo in cui eravate quel preciso giorno. Oppure, se la vostra fidanzata vuole sapere se eravate realmente a giocare a calcetto giovedì scorso, può controllare il vostro smartphone e rintracciare tutti i vostri spostamenti.
In realtà, chiunque entri in possesso del vostro smartphone o tablet Android (a seguito di un furto ma anche di una semplice dimenticanza), può conoscere tutti i vostri spostamenti, risalendo in brevissimo tempo a informazioni fondamentali sulla vostra vita: dove vivete, dove lavorate, dove vivono i vostri cari. Ah, ovviamente anche Google sa tutte queste cose. In quanto fornitore del servizio, Google conosce tutto.
Sicuramente non si può dire che Big G esegua questo servizio senza il nostro consenso, dal momento che per essere attivo richiede l’accettazione dei termini di servizio, tramite quella casella con scritto “accetto” che quasi tutti spuntano senza nemmeno leggere le condizioni.
La questione è un’altra. Poter risalire alla posizione del proprio dispositivo mobile, quando e dove si vuole, offre sicurezza e forse anche un senso di protezione in chi l’utilizza. Ma questa scelta comporta delle conseguenze, che non sempre sono quelle che ci aspettiamo, vuoi per un po’ di disinformazione, vuoi per superficialità di chi decide di accedervi.
La conseguenza inevitabile è che, grazie a Google Location History, noi lasciamo un’impronta indelebile in tutto quello che facciamo. Se fino a prima c’era il timore (rivelatosi fondato, grazie a Edward Snowden) di essere monitorati quando si inviavamo mail e sms, quando si navigava sul web, oppure quando si telefonava, ora si ha la certezza di essere spiati, da un servizio che, attraverso il nostro GPS, raccoglie tutte le informazioni sui nostri percorsi in tempo reale e le conserva accuratamente. Un vero e proprio Grande Fratello, e la cosa paradossale è che glielo permettiamo noi, proprio attraverso quella casella con scritto “Accetto” che spuntiamo con disarmante facilità.
Google è una delle aziende più potenti al mondo, un’icona dei nostri tempi, il brand che, insieme ad Apple e pochissimi altri, ha rivoluzionato il nostro mondo e ha reso la nostra società così incredibilmente tecnologica e avanzata, sotto tutti i punti di vista.
Nel bene e nel male, però. Siamo davvero sicuri di voler lasciare che entri nelle nostre vite così a fondo? Vogliamo davvero che chiunque riesca ad avere accesso al nostro account Google sappia esattamente dove ci troviamo e quali tragitti abbiamo percorso? Siamo davvero consapevoli di avere accettato tutto questo?
Nel momento in cui accettiamo le “Condizioni e i termini di utilizzo” delle applicazioni di localizzazione di Google, automaticamente entriamo a far parte di un grande data center e le nostre informazioni smettono di essere “nostre”.
Come detto, molti ritengono che questi servizi siano uno strumento per sentirsi più sicuri. Ma siamo ancora in grado di conoscere il confine tra la sicurezza che queste app offrono e il controllo assoluto che hanno su di noi?
Molti sostengono che Internet sia, tra le tante cose, un sinonimo di libertà. Forse era così agli albori, quando permetteva di esprimersi e al di fuori dei vincoli della vita reale. Forse è così per quelle popolazioni che vivono sotto un regime dittatoriale che vieta l’utilizzo dei social network per comunicare con il resto del mondo. Ma nella nostra società moderna occidentale, Internet, più che rappresentare la libertà, sta assumendo la forma di un vero e proprio occhio digitale che perennemente ci osserva. Sta diventando il più grande strumento di controllo di massa della storia.