In Libia sono riprese le estrazioni di petrolio. La zona in questione è quella di Sharara, a sud del Paese, dove a causa delle proteste che rendono la situazione molto precaria, l’attività si era interrotta a Luglio 2013. Secondo la società petrolifera che gestisce l’impianto, la National Oil Corporation, è stato spedito l’equivalente di 60 mila barili di petrolio e si spera di tornare a pieno regime nei prossimi giorni estraendo fino alla massima capacità di 340 mila barili in tre giorni.
Le proteste che avevano portato alla chiusura dello stabilimento avevano reso piuttosto difficoltosa l’esportazione, negando di fatto la maggior fonte di entrate per la Libia. Ma se nel sud del Paese si può cantar vittoria, non si può dire altrettanto a ovest: da due giorni infatti le attività di un gasdotto nella località di Nalut sono interrotte. Il gasdotto che collega il giacimento di Wafa al complesso di Mellitah, cogestito da Eni, è stato chiuso perché i lavoratori lamentano di non ricevere gli stipendi dal mese di marzo.
Mentre il governo tenta di trovare un compromesso con i manifestanti, si intuiscono tutte le difficoltà del caso. Creare un precedente sarebbe rischioso per le autorità ma allo stesso tempo fermare la più corposa entrata nelle casse dello Stato costerebbe troppo se così ripetuta nel tempo. Dalla vendita di petrolio la Libia ricava circa 50 miliardi di dollari l’anno. Ai lavoratori nel settore del petrolio è stato riconosciuto un diritto non da poco: l’aumento di stipendio del 67% proprio da Gennaio. Una misura del governo destinata a consolidare lo staff, ma soprattutto l’industria.
A due anni dalla destituzione di Muammar Gheddafi il governo libico fatica ancora a tenere a bada le milizie. Notizia di appena pochi giorni fa, è il ritrovamento di due cadaveri crivellati da colpi d’arma da fuoco a Mellitah, nel nord della Libia. I corpi appartengono a un inglese e una neozelandese, ritrovati su una spiaggia insieme ai loro bagagli intatti: la rapina non sembra essere quindi il movente. La zona in questione si trova proprio nei pressi del grande complesso di petrolio e gas in comproprietà con l’Eni ora chiuso dai manifestanti.