E se l’ergastolo non funzionasse?

Adolescenti arse vive dopo essere state stuprate più volte, ubriachi al volante che spezzano vite innocenti: troppe volte, sentendo notizie del genere, viene spontaneo risolversi con un “certa gente meriterebbe di essere sbattuta in carcere e che la chiave venisse buttata in un tombino”. Ma siamo davvero sicuri che sia questa la soluzione migliore?
Nel Regno Unito qualcuno ha sollevato i primi dubbi, stando a quanto riportato dall’Independent.

Il caso in questione è quello di Douglas Vinter che, dopo aver ucciso un ferroviere negli anni novanta, sei anni fa ha approfittato di una licenza per strangolare e pugnalare sua moglie, Anne White. “Lei ricade in quella piccola categoria di persone che dovrebbero essere permanentemente private della propria libertà“, ha dichiarato il giudice che l’ha condannato.

Niente più possibilità di uscita, niente sconti di pena: Vinter passerà il resto della propria esistenza in prigione.
Difficile sostenere che non lo meriti. Dopotutto, si è arrogato il diritto di togliere la vita ad altre persone, cosa che nessun essere umano dovrebbe permettersi di fare. Eppure, in base a quale principio un giudice può decidere di privarlo della sua di vita?

Perché è di questo che si tratta: la differenza tra una vita degna di essere vissuta e una vita che, al contrario, arriva a non significare più nulla. “Chi commette la più orribile ed eclatante delle azioni e infligge indicibili sofferenze agli altri, conserva comunque la sua umanità e porta con sé la capacità di cambiare. Per quanto le pene possano essere lunghe e meritate, resta il diritto di sperare che, un giorno, sia possibile espiare il male commesso“, scrive Anne Power-Forde, giudice irlandese della Corte Europea.

La vita deve essere vita“, dichiara Cameron. “Qualunque cosa dica la Corte Europea, dobbiamo porre in atto soluzioni per essere sicuri che possa continuare“.
Il nocciolo della questione, dunque, coincide con il livello di dignità della vita. E non si tratta di pura filantropia che tra l’altro, e ciò è pacificamente accettato, i rei di crimini particolarmente efferati neanche meriterebbero.

Che valore assume una vita priva di qualsiasi possibilità di redenzione? Per quale motivo un assassino, una volta condannato, dovrebbe essere spinto ad essere una persona migliore?
In vista di un eventuale reinserimento nella società, la pena acquisterebbe un senso. È doveroso ricordare, infatti, che pena non vuol dire punizione: la pena, almeno al giorno d’oggi, è finalizzata al recupero di cittadini che hanno violato la legge. Il fine, insomma, non è la sofferenza.

Stephanie Hill, consulente di psicologia clinica e forense, in una presentazione alla Corte Europea per i Diritti Umani ha invece avvertito del pericolo riguardo al caso Vinter: “in vista della sua condanna all’ergastolo, la mancanza di preoccupazione per gli altri si è manifestata in un assalto verso un altro detenuto“. Questa è la dimostrazione che, quando non si ha niente da perdere, ci si sente a maggior ragione autorizzati a tutto.

Il giudice ha detto che morirò in prigione, quindi morirò in prigione. Potrei uccidermi. Come controllereste persone come me? Se uccidessi i due poliziotti che sono qui, e non lo farò, ma se lo facessi, cos’altro potrebbero fare?” spiega un glaciale Philip Hegarty, condannato all’ergastolo per aver ucciso il suo migliore amico a martellate. Allo stesso modo, in una lettera pubblicata sul Guardian, Vinter aveva già spiegato tre anni fa come, dopo essere stato condannato a vita, a quel punto si fosse sentito in potere di violare qualsiasi altra legge: “datemi pure un’altro ergastolo per la mia collezione” aveva scritto; “ormai, per me non significano più niente“. Ed ecco allora che Roy Withing , in prigione dal 2000 per aver ucciso la piccola Sarah Payne, di sette anni, finisce pugnalato nell’occhio dallo stesso Vinter, con il manico appuntito di uno spazzolino da denti. D’altra parte, cos’altro avrebbe avuto da perdere.

In vista di una possibilità di uscita, Vinter avrebbe comunque continuato a ripetere le brutali azioni per cui era stato condannato?
Per considerare difettoso un sistema di giustizia che condanna alcune persone ad un’intera esistenza senza speranza, non è necessario provare compassione per quest’uomo. Non bisogna necessariamente credere che possa cambiare. Tutto quello che occorre è che lo creda Douglas Vinter. Perché quando Douglas Vinter ha una qualche prospettiva di rilascio, per quanto debole, per quanto distante, per quanto improbabile, ha un incentivo a non pugnalare altre persone negli occhi” scrive Archie Bland dall’Independent.

Il ragionamento però sembra non convincere il governo britannico, che invece ha proposto un compromesso: se condannare all’ergastolo non fa bene alle persone, che le si condanni a pene di 100 anni. In questo modo, per lo meno sarebbero permessi sconti di pena.
Tutto ciò non ha senso” ha detto Matthew Evans, per sei anni avvocato del Servizio Consulenza Detenuti. “La procedura di revisione della pena verrebbe determinata dalla Corte Suprema, e non riesco ad immaginare la Corte Suprema che cerca alcuni condannati a vita e dica loro che sono liberi. I giudici non torneranno sui propri passi per rilasciare persone condannate per tali reati“.

In Italia il dibattito era già stato aperto qualche anno fa, da una raccolta di firme dell’oncologo Umberto Veronesi, che aveva definito l’ergastolo “incostituzionale e antiscientifico“. Incostituzionale perché “la pena deve rieducare” e antiscientifico perché “20 anni dopo il reato, il carcerato può essere una persona diversa“. E tra pro e contro, quello che si è sempre evidenziato è che l’omicidio -senza escludere da questo le stragi mafiose- non si prescrive mai e che la Corte costituzionale ha già stabilito la costituzionalità dell’ergastolo anche grazie ad una serie di benefici garantiti dalla legge penitenziaria.

Se da più parti, insomma, anche a livello internazionale, si continuano a sollevare dubbi sull’efficacia dell’ergastolo come pena, non si può prescindere dalla contingenza e dal sistema giudiziario e penitenziario di ogni Paese, e in questo l’Italia ha sicuramente molta strada ancora da percorrere, anche a livello di dibattito.

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