Non solo un genere musicale, ma la sintesi di identità e cultura. È questa l’istantanea che fornisce del jazz il compositore, pianista e critico californiano Ted Gioia nel suo libro La storia del jazz. Il testo – uscito per la prima volta negli Stati Uniti nel 1997 – è stato pubblicato ora anche nella versione italiana a cura di Francesco Martinelli. Un viaggio nel tempo attraverso eventi sociali ed economici in cui rintracciare le origini di sonorità che hanno fatto la storia.
New Orleans, Congo Square, 1819: è in quella piazza, punto di ritrovo per le persone ridotte in schiavitù, che per Gioia si rintraccia la prima forma di jazz. La domenica mattina rappresentava l’unico momento per fuggire da una realtà asfissiante e allora attraverso i balli e i canti si esprimeva la voglia di libertà. Gli strumenti erano costruiti con mezzi di fortuna, da legno al ferro purchè servissero ad esprimere il senso del riscatto. Ritmo, spontaneità ed improvvisazione sembrano essere i tre elementi chiave di quelle note.
A risuonare una musica malinconica, simbolo di una condizione sociale profondamente ingiusta. Gioia spiega anche perché quell’area fu più ricettiva di altre: la presenza di una cultura cattolica favorevole anche ai valori religiosi dell’accoglienza faceva sì che fosse un terreno fertile per l’interscambio. Il viaggio degli afroamericani attraverso il jazz da allora non ha conosciuto soste, conquistando a pieno titolo un posto centrale nel mondo della musica.
Parlando di New Orleans, non poteva mancare nel libro di Gioia un’attenzione particolare per Louis Armstrong, il vero re del jazz, nato proprio nella città americana nel 1901 ed avviato alla musica dopo un’infanzia difficile. Spazio anche agli altri protagonisti: da Ellington a Parker a Coleman toccando anche figure ritenute minori.
Da appendice al libro l’autore ha scelto singoli brani e non degli album, anche per essere in linea con la modalità di ascolto sul web che predilige i singoli. Importante l’apertura al mondo 2.0 per la fruizione di queste sonorità, ma senza perdere di vista il fascino di alcuni grandi dettagli. Come dimenticare ad esempio l’atmosfera dei club? È lì che il jazz prende vita, a stretto contatto tra musicista e pubblico.