Femminicidio, un termine ampiamente usato e talvolta abusato, che indica l’uccisione di una donna da parte di un uomo per motivazioni riconducibili alla sua identità di genere o alle sue relazioni sentimentali, passate o presenti. Si tratta ancora di una delle questioni più delicate e di maggiore attualità in Italia.
Nel 2013, almeno a livello legislativo, istituzionale e mediatico, sono stati fatti importanti passi avanti. Nuovi centri sono stati aperti, offrendo alle donne vittime di violenza sia un rifugio, sia la possibilità di intraprendere un percorso per uscire dall’incubo. Diverse le iniziative di sensibilizzazione organizzate in tutta Italia, tra cui seminari, flash mob, conferenze, spot pubblicitari e incontri pubblici. L’attenzione dei media attorno al fenomeno è aumentata e a giugno il Parlamento ha ratificato la Convenzione di Istanbul, che si propone di prevenire la violenza di genere e garantire la protezione delle vittime. Ad agosto il governo ha emanato un decreto per inasprire le pene per i responsabili di omicidi o atti persecutori, decreto diventato legge in ottobre.
In sintesi la legge sul femminicidio attualmente in vigore stabilisce l’allontanamento urgente del coniuge violento da casa, l’arresto obbligatorio in caso di flagranza per reati di maltrattamento familiare e stalking, l’utilizzo di strumenti elettronici per il controllo del soggetto allontanato e il patrocinio legale gratuito per le vittime che non possono permettersi un avvocato. Previsti anche ingenti finanziamenti per i centri antiviolenza, oltre all’irrevocabilità della querela in caso di alto rischio per la persona.
Quello che colpisce è che in Italia ancora non esiste uno specifico osservatorio nazionale sul femminicidio, come invece accade in altri Stati europei. Le statistiche vengono raccolte dalle associazioni di settore o dalle redazioni dei giornali, con l’effetto di ottenere dati che, numeri alla mano, presentano tra loro notevoli differenze, perché estratti con criteri non univoci.
Per La Stampa, che ha monitorato giornali, siti web e lanci di agenzia, i femminicidi del 2013 sarebbero cresciuti rispetto al 2012, passando da 93 a 103. Cifre diverse da quelle fornite dal Sole 24 ore, che parla di 128 donne uccise nell’anno appena concluso, e dall’Udi, l’Unione delle donne in Italia, il cui dato è 114. Infine, in base alla rilevazione della Casa delle Donne di Bologna, le vittime del 2012 non sarebbero 93, ma arriverebbero a 124.
Le variazioni dipendono, per esempio, dall’aver distinto tra femminicidi “puri” e omicidi generici. Il monitoraggio de La Stampa, che non fa rientrare questi ultimi nella categoria del femminicidio, rivela che si uccide di più al Nord e da settembre in poi, anche se negli anni il quadro si è notevolmente riequilibrato. In generale la violenza ha come teatro privilegiato quello che dovrebbe essere il posto più sicuro, le mura domestiche. Secondo il Sole 24 Ore il responsabile è nel 48% dei casi il marito, nel 12% il convivente e nel 23% l’ex.
Numeri a parte, quello che non bisogna dimenticare è che non si sta parlando di una qualsiasi contabilità. Dietro alle tabelle e ai grafici ci sono persone, donne. Esseri umani che hanno amato, sognato e molto sofferto, prima di vedersi spezzare per sempre la vita e il sorriso.
“Le politiche di contrasto sono doverose, ma ci vuole tempo perché sortiscano i primi effetti” afferma Angela Romanin, vicepresidente della Casa delle Donne di Bologna, che sottolinea anche come il femminicidio nel nostro Paese sia ormai un fenomeno “endemico“. Una costante, insomma, che affonda le proprie radici in una mentalità sbagliata, fondata sul dominio assoluto dell’uomo sulla donna, anziché sulla pari dignità dei partner all’interno della coppia.
Il cambiamento, dunque, non potrà limitarsi all’ambito legislativo, ma dovrà avvenire anche e prima di tutto sul piano culturale. Una svolta quantomai necessaria, dopo migliaia di anni storia e di disparità di genere.