Io ho ricevuto un mandato popolare, tu sei stato semplicemente nominato. Non si tratta del Grande Fratello e del meccanismo del gioco, ma delle dichiarazioni di fine anno di Matteo Renzi. Un siluro indirizzato in direzione dell’attuale inquilino di Palazzo Chigi, Enrico Letta. E le elezioni anticipate si avvicinano sempre di più.
Durante la Prima Repubblica si sarebbe parlato di Governo Ponte, in questa Seconda Repubblica non è la prima volta che accade che un Esecutivo targato centro-sinistra sia affondato, o comunque messo in difficoltà, dalla maggioranza stessa. Era già accaduto con il secondo Governo di Romano Prodi quando il popolo delle Primarie aveva incoronato Walter Veltroni. Le assonanze sono molteplici: pochi voti di maggioranza al Senato e un neo-eletto segretario che scalpita per poter capitalizzare il consenso. Perché Renzi, come Veltroni, ha un problema da risolvere a stretto giro: evitare che l’Esecutivo Letta faccia bene. Altrimenti, il rischio che l’apparato old style dei Democrat possa rialzare la testa e proporre nuove Primarie per il ruolo di candidato a capo della futura coalizione quando saranno sciolte le Camere. Matteo Renzi è inviso all’interno della vecchia guardia del partito, Giovani Turchi compresi, così come lo era Walter Veltroni.
Ecco, allora, che non passa giorno ormai che il neo segretario non faccia andare avanti qualche sodale con dichiarazioni che suonano come ultimatum. Un lento logorio psicologico che, accompagnato dalla voglia di elezioni delle due grandi opposizioni presenti in Parlamento – Forza Italia e Movimento 5 Stelle – potrebbe determinare un precipitare delle situazione, con elezioni entro la prossima primavera. L’unica variabile non calcolabile è rappresentata dal jolly in mano al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che potrebbe dimettersi e creare un ingorgo istituzionale tale da allontanare le elezioni anticipate.
Nel frattempo, Renzi si porta avanti e decide di chiudere il 2013 all’attacco. “Io sono totalmente diverso, per tanti motivi, da Enrico Letta e Angelino Alfano, ma quanto al Governo bisogna tener fede a quanto detto: se Letta fa, va avanti. Certo, se si fanno marchette e si passa dalle larghe intese all’assalto alla diligenza, non va bene”, riferimento al pasticcio sul Decreto Salva Roma ritirato in gran fretta. E ancora, “le cose bisogna raccontarle per come stanno. Lui, Enrico, è stato portato al Governo anni fa da D’Alema, che io ho combattuto e combatto in modo trasparente; e Angelino Alfano al Gverno ce l’ha messo Berlusconi, quando io non ero ancora nemmeno sindaco di Firenze”, giusto per marcare una verginità politica a livello nazionale da spendere in campagna elettorale. E se il concetto non fosse chiaro, ecco altre bordate. “Io sono totalmente diverso, per tanti motivi, in primis perché ho ricevuto un mandato popolare. Per questo con l’anno nuovo si passa dalle chiacchiere alle cose scritte: lavoro e riforme i due temi capitali. L’idea è di continuare a sostenere il Governo a condizione che faccia quel che deve. Però potevano risparmiarsi e risparmiarci tante cose. E la faccenda della nomina da parte di Alfano di diciassette nuovi Prefetti è soltanto la ciliegina sulla torta”. Nessun rimpasto, anche perché nel non detto di Renzi è il Governo intero che può andare a casa. Ma, non si può ancora dire esplicitamente. “Quella parola, intendo rimpasto, non l’ho mai pronunciata e mai la pronuncerò. Io fatico a tenere Delrio al Governo, perché ogni tanto mi dice che vorrebbe lasciare: è quello il mio problema. Non ho alcun interesse a mettere pedine e scambiare caselle: chiedo solo che si cambino stile e velocità nel Governo”.
Ma prima di tutto ci sono da cambiare le regole del gioco: la Legge elettorale che possa salvaguardare il bipolarismo e contribuire a mettere in offside l’attuale Parlamento, già delegittimato dalla decisione della Consulta che ha bocciato il Porcellum. Ma per far cadere il Governo senza che qualcuno possa incolparlo, Renzi ha bisogno di una mano. E, quindi, Fi e M5S possono rappresentare l’ariete giusta per scardinare il Palazzo. “Vediamo cosa risponderanno Grillo e Berlusoni sulla nostra proposta di Legge elettorale. Io con loro ci parlo e ci parlerò”.
L’ultimo messaggio, somiglia ad un twitter, pochi caratteri, ma incisivi. “Il voto subito? Calma, bisogna tener fede a quando detto: se Letta fa, va avanti”. Il “cinguettio” termina così, non c’è bisogno di proseguirlo. Spesso in politica, conta molto di più il non detto che il detto coram populo.