Nuovi metodi di ricerca, nuovi meccanismi per andare avanti nel settore della tecnologia o forse semplicemente nuove strade per cercare di incrementare il profitto. Le società di trasferimento tecnologico sono, in effetti, tutt’e tre le cose insieme: parliamo di imprese private fortemente supportate dal governo, che in cambio del finanziamento, ne ottiene un tornaconto in termini sociali.
Quando nei primi anni del ‘900 soffiavano i primi venti di guerra e le nazioni europee si muovevano per aumentare i propri arsenali, il processo di industrializzazione conosceva il suo apice. Le imprese industriali, che hanno praticamente dominato il panorama mondiale per anni, ora vanno defilandosi a causa dei costi e dell’eccessivo bisogno di risorse. Che la guerra sia un acceleratore tecnologico e sociale lo si impara su qualsiasi libro di storia, ecco perché le nuove imprese di trasferimento tecnologico non potevano che crescere nel regno d’Israele.
Proprio questo piccolo paese, nato immediatamente dopo la seconda guerra mondiale, ha investito molto negli anni, stanziando fondi per la ricerca e lo sviluppo accademico. Lo stato ebraico scarseggia di risorse e materiali utili all’industrializzazione, dunque la scelta di investire nelle risorse umane e tecnologiche è stata incentivata soprattutto da una crescita ritenuta necessaria. Lo stato di Israele è infatti da sempre in conflitto con gli stati arabi circostanti, a causa di quella espropriazione territoriale compiuta ai danni dei palestinesi. È stata proprio la delicata situazione politica a fungere da sprone per lo sviluppo di queste nuove start-up tecnologiche.
Israele si colloca al prima posto di questa speciale classifica mondiale, con un investimento di circa il 4,2% del Pil, quasi il doppio della media Ocse, ferma al 2,3%. Nel 2011 lo stato ebraico ha finanziato queste start-up con 9,4 miliardi di dollari e sempre in quell’anno il finanziamento pubblico rappresentava lo 0,21% del Pil, mentre il finanziamento delle imprese private è di circa 3,9 % del Pil. Insomma, la privatizzazione è la strada per il successo, o almeno così credono fortemente gli israeliani.
Lo stato ebraico reincarna il neo-liberismo più spietato. A dirlo è la quantità di brevetti applicati alle nuove società di trasferimento tecnologico, che collocano Israele al quarto posto nella classifica mondiale. Logicamente i brevetti registrati servono allo stato egemone che vuole mantenere come proprie le tecnologie e le idee.
Ad avvalorare questa tesi è anche il numero di Ide(Investimenti Diretti Esteri) che nel 2011 sono stati la forza trainante dell’economia di questo stato. Le società di trasferimento tecnologico stanno dunque vivendo momenti fastosi, cavalcando l’ondata neo-liberistica, che prevede privatizzazioni e finanziamenti per la ricerca.