Dopo la fiducia della Camera alla Legge di Stabilità, si aspetta l’approvazione ufficiale al Senato.
Facente parte del disegno di legge è la tanto discussa Web tax, o Google tax. Nonostante l’eliminazione dell’obbligo di possedere la partita iva italiana a tutte le società per lavorare nel settore dell’e-commerce, restano invariate le sezioni riguardanti la pubblicità online e la tracciabilità dei pagamenti di attività di sponsorizzazione e affini che devono avvenire attraverso bonifico postale o bancario.
La prima versione della Web tax aveva fatto tremare le aziende straniere del commercio elettronico che avrebbero dovuto fare richiesta di partita iva per continuare a operare in Italia, con chiari svantaggi non solo per le stesse aziende ma soprattutto per l’economia e il pubblico italiano. Ma la versione rivisitata non elimina i timori che la nuova tassa possa portare più danno che benefici per il nostro Paese.
Obbligare aziende straniere a seguire la nuova tassazione potrebbe semplicemente significare che queste aziende decidano di non fare più pubblicità online in Italia. E come afferma Carnevale Maffé, docente dell’università Bocconi: “Saremmo tagliati fuori dal flusso pubblicitario globale” e aggiunge “bisogna considerare il rischio di ritorsioni da parte degli altri stati, che potrebbero costringere tutte le piccole imprese italiane che esportano via e-commerce ad aprire sedi in altri paesi del mondo”.
Nemmeno l’Europa vede con buon occhio la Web tax tricolore. Il dubbio dell’UE in merito alla tassa è stato espresso dal portavoce del commissario europeo Emer Traynor, che in una dichiarazione al Corriere delle Comunicazioni ha definito la Web tax “contraria alle libertà fondamentali e ai principi di non discriminazione dei trattati”.
Intanto anche la comunità online manifesta il dissenso verso la nuova tassa, non solo se ne discute animatamente su Twitter ma è già iniziata una petizione di change.org intitolata “No alla #Webtax. Le aziende italiane non possono essere isolate dal mondo“.