Lo aveva detto, il lavoro sarebbe stata una delle sue priorità. Dopo aver invitato le forze politiche ad accelerare i tempi per l’approvazione di una nuova Legge elettorale, Matteo Renzi torna alla carica su un altro dei temi più caldi e spinosi per il Paese. Lo fa con un Job Act che sarà verosimilmente presentato dal Pd entro la fine di gennaio.
Creare lavoro e combattere la precarietà. Sono questi gli imperativi del piano a cui stanno lavorando, tra gli altri, la responsabile del settore lavoro della segreteria democratica Marianna Madia, il responsabile del settore welfare e scuola Davide Faraone, il responsabile economico Filippo Taddei e l’economista-matematico Yoram Gutgeld.
L’idea è quella di sostituire alla cassa integrazione un sussidio di disoccupazione uguale per tutti, con l’obbligo di partecipare, su modello tedesco, a un percorso di formazione che favorisca il reinserimento del soggetto nel mercato del lavoro. Verranno apportati cambiamenti ai centri per l’impiego, che a oggi in Italia funzionano per meno del cinque per cento delle assunzioni. Inoltre, per i primi tre anni, le imprese non saranno tenute a pagare contributi.
Un problema ancora aperto è quello relativo all’applicazione dell’articolo 18, riguardante la tutela dei licenziamenti senza giusta causa. Per il momento sembra aver vinto il modello Boeri-Garibaldi, che prevede l’esclusione dei neoassunti. Netta la contrarietà del segretario della Fiom, Maurizio Landini, che dice: “Se Renzi vuole fare una cosa intelligente, ripristini l’articolo 18 per impedire i licenziamenti ingiustificati. Ripristini un diritto di civiltà”.
In cantiere anche una proposta di legge sulla rappresentatività, per misurare il peso di ciascun sindacato. Un punto, questo, da sempre nella lista dei desideri della Cgil e della stessa Fiom. Altro progetto sui sindacati è quello di far entrare i rappresentanti dei lavoratori nei consigli di amministrazione delle aziende, ma difficilmente Confindustria darà il suo appoggio.
Il cuore del piano, in ogni caso, è rappresentato dalla realizzazione di posti di lavoro ed è su questo, principalmente, che si sta ragionando. Il segretario del Pd vuole contratti stabili a tempo indeterminato per i giovani al di sotto di un certo limite d’età. Stop alla precarietà, ma licenziamenti più facili, senza obbligo di reintegro e accompagnati da un indennizzo. Insomma, una forma di “lavoro indeterminato-flessibile” come l’ha definita Gutgeld.
“Renzi parla della sovrastruttura, ma non dice come rilanciare gli investimenti pubblici e privati“, commenta Vincenzo Scudiero, segretario nazionale della Cgil. Per Bonanni (Cisl) la flessibilità necessita di “strumenti per la maternità, per la previdenza e per la malattia, che possono essere sostenute solamente se i salari sono più alti e quindi le contribuzioni sono più alte“.
Critiche anche dallo storico collettivo San Precario, secondo il quale “l’unica vera ricetta è il reddito di base incondizionato, da garantire a tutti, che lavorino o meno. Non è assistenzialismo, è l’unico modo per ripagare il tempo che i precari impiegano nelle ore lavorate ma non retribuite, nella disoccupazione tra un lavoro e l’altro, nella ricerca di nuova occupazione“.