Una volta il calcio veniva definito lo sport popolare per eccellenza: la domenica ci si incontrava allo stadio o attorno ad una radiolina, un paese intero si fermava durante le partite e non esisteva nulla in grado di sostituire quei momenti di aggregazione. La squadra era patrimonio della città e dei suoi tifosi e vi erano dei presidenti “padri” prima che “padroni”che gestivano, se così si può dire, una creatura che non era la loro.
In un calcio moderno in cui tutti questi valori sembrano dissolversi a suon di milioni, una piazza data per morta trova proprio nella passione dei suoi tifosi non solo la forza, ma anche le risorse per poter proseguire un campionato che altrimenti si sarebbe concluso nello scorso weekend. Stiamo parlando di Ascoli e della sua squadra, patrimonio del calcio italiano (16 campionati di serie A sono lì a testimoniarlo), che ora sta vivendo il momento più difficile della sua ultracentenaria storia. È di martedì, infatti, l’inevitabile dichiarazione di fallimento della vecchia società gestita dalla famiglia Benigni ormai agonizzante ed in preda ai debiti.
I tifosi, però, hanno vissuto questo momento come una liberazione, con la società che, finalmente, non è più nelle mani di quello che era considerato il nemico pubblico numero uno: Roberto Benigni. Ora, finito il tempo delle chiacchiere, una città intera si mobilita perché quello che è un patrimonio di tutti non vada disperso. Gruppi di ultras ed associazioni di tifosi hanno avviato una raccolta di fondi, facendosi carico delle spese che la società dovrà affrontare per terminare la stagione in modo da poter preservare la categoria. Il tutto in attesa del nuovo compratore che, una volta che il titolo sportivo sarà messo all’asta (si partirà da una base di un milione e mezzo di euro), prenderà le redini del neonata società.
Una mobilitazione organizzata alla perfezione, con tanto di codice IBAN sul quale effettuare il versamento necessario. Una passione senza limiti, se si pensa che in soli 4 giorni sono stati raccolti quasi 10000 euro, dei quali 2500 sono già stati trasferiti sul conto della Curatela Fallimentare che ha in gestione la società per coprire le spese necessarie all’imminente trasferta che l’Ascoli dovrà affrontare a Nocera Inferiore domenica.
Non si tratta di un vero e proprio azionariato popolare in quanto la società non è nelle mani dei tifosi, ma di una spontanea manifestazione di affetto e di attaccamento verso quello che è considerato patrimonio di un’intera città. Il dato fa ancora più effetto se si pensa che ad Ascoli Piceno la crisi è passata con innata veemenza, con un’infinita serie di fabbriche chiuse e gente con famiglia senza lavoro. Eppure sono proprio queste persone le prime ad aver dato il loro piccolo ma significativo contributo: il calcio è per Ascoli Piceno il punto di partenza per una rinascita che ancora si palesa lontana ma che è possibile. Sostenere e salvare questo bene di tutta una città rappresenta il segno tangibile che la gente è viva e reagisce, che non ci sta a lasciare andare il simbolo di una terra intera che per anni è stata rispettata e conosciuta solo grazie alla sua squadra di calcio.
Ecco serviti i benpensanti che vedono in questa raccolta un patetico tentativo di salvare una semplice squadra di calcio quando una città intera perde il lavoro: se quest’iniziativa parte proprio da quella gente che fatica ad arrivare alla fine del mese, vuol dire che gli ascolani vogliono che la loro rinascita riparta da questo bene di tutti, da quei colori bianconeri che fanno battere forte ancora il cuore della città. L’inno della squadra dice che l’Ascoli è, nel mondo del calcio, “la stella che sempre brillerà”, e il popolo piceno come esperto comandante di vascello vuole farne la stella polare che li guidi in questo momento di difficoltà per una terra che non ci sta a lasciarsi andare alla deriva.