Dubbi sulla ripresa nel 2014. Ad esprimerli è il numero uno di Confindustria, Giorgio Squinzi. “In questo momento non si può dire che la recessione è finita e che c’è la ripresa. Vediamo cosa succede nei prossimi mesi. Io vedo molto ottimismo, ma l’arresto della caduta del Pil in un trimestre non si può interpretare come un segnale di decisa ripartenza o di fine della recessione”. Anche perché “noi abbiamo perso 9,1 punti di Pil dal 2007 ad oggi. Il fatto che per un trimestre la discesa si è arrestata significa che abbiamo toccato il fondo, però non lo potrei interpretare, con tutta la buona volontà, come un segnale di decisa ripartenza o di fine della recessione”. La ripresa, prosegue, “dobbiamo conquistarla come Paese, facendo le riforme e le cose giuste che Confindustria sta chiedendo da tempo”, altrimenti “credo che agganceremo la ripresa internazionale, ma in maniera estremamente modesta”.
Parole importanti che staranno sicuramente facendo fischiare le orecchie della classe politica italiana impegnata nel via libera alla Legga di stabilità, con la fiducia alla Camera e, quindi il ritorno al Senato il 23 dicembre per l’approvazione definitiva. Secondo Squinzi occorre che l’agenda politica sia caratterizzata da serie riforme strutturali e non solo dalla discussione su elezioni ora o nel 2014. Il numero uno di viale dell’Astronomia ha anche commentato la proposta del segretario del Pd, Matteo Renzi, circa l’abolizione dell’art.18 dello Statuto dei lavoratori per i neoassunto. “Sicuramente è una proposta che va nella direzione giusta. Anche se, non è sufficiente perché per assumere bisogna prima creare le condizioni per avere più lavoro. Solo creando le condizioni per avere più lavoro, si possono fare assunzioni, altrimenti rimane un provvedimento sulla carta”.
A fare da corollario alle parole di Squinzi, la relazione del centro studi di Confindustria. “La profonda recessione, la seconda in 6 anni, è finita. I suoi effetti no”. Per questo parlare di ripresa è “improprio” e “derisorio”. Il “Paese ha subito un grave arretramento ed è diventato più fragile, anche sul fronte sociale. Danni commisurabili solo con quelli di una guerra”. L’impatto sulla crescita della Legge di Stabilità all’esame del Parlamento sarà molto piccolo, dello “0,1 o 0,2” punti sul Pil del 2014. “L’Intervento principale proposto è quello sul cuneo fiscale, ma le risorse stanziate non sono in grado di incidere significativamente”. Questo perché dall’inizio della crisi, fine 2007, si sono persi un milione e 810 mila posti di lavoro a tempo pieno. L’occupazione è rimasta ferma nella seconda metà del 2013 e ripartirà dal 2014. Si arresta così “l’emorragia occupazionale”: per l’anno prossimo il Centro studi di Confindustria prevede un +0,1%, per il 2015 un +0,5%.
Il 2013 si chiuderà peggio delle attese, stima il Csc, che ha rivisto dal -1,6% al -1,8% le stime per il Pil. Resta invariata al +0,7% la previsione di crescita per il 2014. Mentre gli economisti di via dell’Astronomia nella prima stima sul 2015 prevedono una crescita dell’1,2%.
Le persone a cui manca il lavoro, totalmente o parzialmente, sono 7,3 milioni, due volte la cifra di sei anni fa. Anche i poveri sono raddoppiati a 4,8 milioni, questo il bilancio di sei anni di crisi. Le famiglie hanno tagliato sette settimane di consumi, ossia 5.037 euro in media l’anno.
Numeri e dichiarazioni che gelano le parole del premier, Enrico Letta, che non più di qualche giorno fa aveva parlato di una crescita del Pil dell’1% nel 2014 e del 2% nel 2015. Forse quell’eccesso di ottimismo di chi spera e auspica la ripresa, anche solo per rimanere in sella al Governo e non dover cedere in fretta lo scettro del comando.