Il mondo del calcio ricorda Costantino Rozzi, il Presidente tifoso

Il 1994 non è stato un anno qualunque: la discesa in campo di Silvio Berlusconi e la fine della prima repubblica, la morte di Kurt Cobain, icona della musica grunge, l’incidente di Ayrton Senna che segna la fine di un’epoca nella Formula 1. Un anno che potremmo, a buon diritto, considerare spartiacque in molti settori della vita dell’uomo e, il calcio, non ne fa eccezione. Era il 18 dicembre, infatti, quando lasciava questa terra Costantino Rozzi, l’ultimo dei presidenti di un calcio rustico e genuino che oggi non c’è più ma che la maggior parte dei tifosi rimpiange. In un momento in cui lo sport più amato del mondo è preda di scandali, scommesse, curve chiuse e fallimenti, forse quello che manca è una figura forte che esponendo con semplicità i valori condivisi da tutti se ne faccia portavoce: Rozzi era questo e molto altro.

Oggi sono passati solo 19 anni, eppure sembrano passate ere geologiche, calcisticamente parlando. L’avvento in pompa magna delle televisioni ha modificato il modo di intendere questo sport: i campioni che un tempo popolavano i campi sportivi oggi sono sostituiti da mezzi attori, attenti talvolta più al look che agli aspetti meramente tecnico – tattici. Oggi si studiano le esultanze, si preparano magliette celebrative, si fanno spot pubblicitari. Tutto questo “Custandì” non lo avrebbe tollerato.

Come dimenticare le sue comparsate al “Processo del Lunedì”, dove utilizzando un linguaggio semplice che talvolta sfociava nel dialettale, si esibiva in una strenua difesa del suo piccolo Ascoli, vittima della presunta sudditanza che arbitri, Lega e stampa pativano nei confronti delle grandi. La sua appartenenza all’Ascoli Calcio era totale e la società era gestita come una “figlia”, un modello lontano dalle “aziende” che popolano la serie A del 21° secolo. “Voi forse non mi credete oppure vi metterete a ridere ma io non me ne vergogno: quando l’Ascoli perde mi vien da piangere. Quando la mia squadra esce battuta dal campo una tristezza mi assale e tutto mi precipita addosso”: questo è il segno del legame vitale che univa a doppio filo il presidente con la sua squadra e quest’ultima con la tifoseria intera.

Certo talvolta la sua semplicità poteva sfociare nella comicità. Come dimenticare l’episodio in cui, in diretta televisiva, parlando di una partita esordì dicendo: “oggi abbiamo stato a…”. Il presentatore, allibito, lo corresse con un:”presidente, siamo stati!!!”, al quale imperterrito il “presidentissimo” rispose con un “perchè sei venuto anche tu?”.

Una passionalità che rendeva Rozzi, ma lui non era il solo, il capo – popolo che guidava la domenica la battaglia per i due punti. Una battaglia che sul campo vedeva protagonisti i calciatori, che dovevano dimostrare in campo prima doti umane che tecniche. Era, infatti, l’attaccamento alla maglia la chiave per sopravvivere in un calcio dove i soldi avevano, eccome, il loro peso. Lui viveva con una tale passione le partite da bordo campo, con i suoi immancabili calzini rossi, da venire più volte allontanato dagli arbitri, diventando uno dei dirigenti più squalificati degli anni ’80. Un rapporto conflittuale con il mondo arbitrale, figlio dell’amore per la sua creatura.

Agli appassionati di calcio piace immaginarlo così: sulla panchina ai margini dello “stadio del Cielo”, dopo una settimana di dibattiti accesi, magari con il suo collega – rivale Romeo Anconetani (storico presidente del Pisa), protestando contro chi, da lassù, non sta intervenendo in difesa del suo Ascoli in questi giorni difficili. “Se può servire sono pronto a chiamare anche una fattucchiera: sarei anche disposto ad un compromesso col padreterno pur di salvare l’Ascoli” chiosò una volta: siamo sicuri, Costantino, che da lassù hai già avviato le trattative.

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