“Ci son due coccodrilli ed un orangotango…”. Così inizia il testo della famosa canzoncina per bambini “I due liocorni”. E proprio queste strofe iniziali descrivono bene il caso della foresta di Tripa, nella palude di Sumatra. Non solo la deforestazione senza controllo ha fatto si che dal 1990 a oggi gli ettari di foresta passassero da 60.000 a 10.000, ma la sostituzione degli alberi con piantagioni di olio di palma ha causato la riduzione della popolazione di oranghi in questa zona da 2.000 a 200 esemplari. Un numero effimero dunque, come la presenza di un solo orango nella melodia. E pensare che la zona di Tripa, una delle foreste pluviali ecologicamente più importante al mondo, aveva un tempo la più densa popolazione di oranghi al mondo.
Gli attivisti hanno provato a entrare in queste piantagioni di palme da olio. Ma sia a causa del terreno spesso paludoso e quindi impraticabile, sia per via della stretta sorveglianza sulla zona, la missione è fallita. La soluzione a questo problema la si è trovata nella costruzione di una tecnologia usata già in campo militare: il drone. Graham Usher, dal Conservation Programme Orangutan Sumatra, ha prodotto un aereo drone chiamato “Raptor”, che può volare per più di mezz’ora in un range di 30-40km, controllato da un computer, e che ha la caratteristica di registrare la portata della distruzione della foresta. Inoltre, l’apparecchio è anche in grado di controllare gli animali, che sono stati muniti di un collare radio. Un efficace sistema quindi che potrebbe contribuire a salvare gli orango e la loro foresta.
Il vero problema di questa produzione di olio di palma è il fatto che la complessità della filiera dell’olio di palma rende difficile per le aziende il controllo del prodotto che ricevono, e quindi di poter verificare che l’olio che usano sia stato prodotto in modo etico e sostenibile. Un rapporto di Greenpeace del mese di ottobre e riguardante questo problema ha accusato Procter and Gamble e Mondelez International (ex Kraft) di utilizzare olio di palma “sporco”, cioè non prodotto con meccanismi eco-sostenibili. E lo stesso vale per multinazionali quali Superdrug e Procter and Gamble(che gestisce le linee di prodotti per capelli Pantene e Herbal Essences). Tutte le aziende ovviamente si sono subito prodigate a smentire e a fare promesse su un futuro utilizzo di forniture di olio controllate e sostenibili. Saranno le solite promesse fatte al vento? Forse si o forse no.
Il problema per gli oranghi è però un altro. E lo sottolinea Anto, un esperto di orangutan locale. Secondo il suo parere infatti la diffusione delle piantagioni sta frammentando la foresta e ciò causa l’isolamento degli animali. E di questo aspetto ne approfittano soprattutto i bracconieri che, tagliando l’albero su cui si trovano gli oranghi, li costringono a scendere per poi catturarli e rivenderli oppure ucciderli. Come è successo al piccolo orango Gokong Puntung e sua madre, il primo salvato dalle grinfie dei bracconieri da un gruppo di volontari mentre la seconda venduta per meno di 6 dollari ad un lavoratore di una piantagione.
La questione della distruzione di foresta e della popolazione di oranghi permane e se va avanti in questa maniera incontrollata e indiscriminata porterà all’estinzione di entrambi questi luoghi ed esseri naturali nel giro di brevissimo tempo. La foresta verrà sostituita dalle piantagioni e gli oranghi scompariranno di conseguenza, per la mancanza di cibo e per il fatto che questi animali producono prole solo ogni 6 o 7 anni. Ma noi uomini “normali”, con ancora una coscienza a cui dobbiamo rispondere, è davvero questo quello che vogliamo?
[Fonti: theguardian.com; Flickr]